Azzurri di Gloria ha avuto il piacere di intervistare Simone Buti, centrale della Gi Group Monza e capitano della Nazionale Italiana di pallavolo.

Simone Buti, medaglia d’argento a Rio 2016 (fonte Il Tirreno)

SIMONE BUTI SI RACCONTA AD AZZURRI DI GLORIA

Carismatico e determinato in campo, gentile e disponibile fuori. Simone Buti è un gigante buono, uno di quei personaggi che incutono anche una certa soggezione a primo impatto, ma capaci di conquistare tutti con l’impegno e la dedizione. Nato a Fucecchio il 19 settembre 1983, è diventato un protagonista assoluto della Serie A1, ricoprendo il ruolo di centrale. Contraddistinto da un grande senso della posizione ed insuperabile a muro, si è costruito una carriera incredibile partendo da Livorno nel 2003/04, passando per Trieste, Mantova, Montichiari Verona, Pineto, Monza (con la Gabeca), Vibo Valentia, fino a Perugia. Nel capoluogo umbro, è diventato uno dei protagonisti dell’ascesa della Sir Safety Conad. Con la formazione perugina ha raggiunto i traguardi più importanti, diventando per due volte vicecampione d’Italia e cogliendo anche due finali prestigiose, una di Coppa Italia ed una di Champions League. Dopo cinque stagioni, Simone ha scelto di cambiare squadra ed ha sposato la causa della Gi Group Monza, club emergente con grandi ambizioni. I brianzoli sono stati tra le rivelazioni delle ultime stagioni ed hanno tutte le intenzioni di continuare a crescere lentamente. Certamente, con Buti le prospettive diventano interessanti. Alla società monzese va il ringraziamento da parte di Azzurri di Gloria per aver reso possibile l’intervista a Simone.
Simone, quali sono le tue sensazioni alla vigilia del campionato con la nuova squadra?
<<Sono arrivato da poche settimane e ancora devo entrare nei meccanismo societari e della squadra. Loro si allenano da un mese e mezzo. Arrivo in una società ambiziosa, con voglia di crescere. Per questo sono fiducioso. Il campionato è alle porte, ma ho buone sensazioni. Penso che la nostra squadra sia giovane, ma possa dire la sua>>.
Perché hai scelto Monza e la squadra Gi Group?
<<Per una serie di motivi. Innanzitutto c’ero già stato. Ho convissuto qui con la mia compagna. Mi aveva dato tanto questa città. E poi ho scelto una società radicata nel territorio e con un progetto sul futuro. Basti pensare che la Gi Group Monza può contare su 2000 atleti del settore maschile e femminile. E poi questo club ha l’obiettivo di crescere. Ho rivisto la Perugia che avevo trovato al mio arrivo in Umbria, con la stessa voglia di migliorare>>.
Dunque si tratta di un mix di motivazioni ed influisce anche il passato.
<<Certamente ho scelto Monza anche per questo. Va detto che non è la stessa società a cui mi sono legato la prima volta. Logisticamente è una piazza dove mi sono trovato molto bene. Metto sullo stesso piano le vedute futuribili con un progetto serio. Le due cose vanno di pari passo>>.
Ora ti faccio una domanda difficile. Riavvolgiamo il nastro: cosa ti è rimasto dell’esperienza a Perugia?
<<Quando si passano quattro anni in una città, non possono non rimanere le emozioni. È stato bello conoscere tante persone con cui ho stretto un rapporto di amicizia. Perugia resterà sempre un’esperienza importantissima. Lì ho giocato partite importanti. Ho avuto la fortuna ed il merito di essere protagonista di una crescita importante. Ricordo quando nei primi tempi c’erano 600 persone nel Pala Evangelisti, mentre ora il palazzetto è stracolmo. Non può che essere una bella sensazione ed un bel ricordo che porterò con me>>.
Hai qualche rimpianto sull’avventura a Perugia? Magari le due finali scudetto nel 2013/14 e nel 2015/16 o la finale Coppa Italia del 2013/14.
<<I rimpianti ci sono perché quando si arriva lì, all’ultimo atto, piace a tutti vincere. È dispiaciuto maggiormente per com’è andata nella prima occasione. Nel secondo anno in cui abbiamo raggiunto la finale scudetto, ci siamo arrivati a sorpresa e dunque non avevamo grandi aspettative. Il rimpianto principale riguarda la stagione 2013/14, perché eravamo convinti di potercela fare, di avere le armi per vincere lo scudetto. Ma, in fondo, questo è lo sport, non sempre va come ce lo si aspetta. E anche se non abbiamo vinto, nessuno se lo aspettava. In breve tempo, siamo riusciti a costruire una squadra di vertice. Anche questo è un risultato importante che non va sottovalutato>>.
Un’analogia con la nuova Gi Group Monza.
<<Certo. È uno dei motivi per cui ho scelto di arrivare qui. C’è anche un’attività sociale e questo mi è sempre piaciuto. Inoltre, dal punto di vista sportivo, la società è reduce da quattro o cinque anni in cui sta crescendo notevolmente. Ora, bisogna fare quel passo in più>>.
Sotto quell’aspetto, tu puoi dare un grande contributo visto che hai esperienza e carisma da vendere.
<<Certo, anche se rendo bene perché mi diverto. Tra le due qualità credo che conti soprattutto l’esperienza che ho avuto. Questo fattore sportivo è un valore aggiunto che mi porto dietro nella mia carriera>>.
Altra domanda indiscreta. C’è qualche amico di Perugia che avresti portato con te nella tua nuova esperienza monzese?
<<Non so mai bene come rispondere. Poi magari ne dimentico qualcuno ed al prossimo Monza-Perugia o Perugia-Monza me ne dicono quattro sotto rete (ride ndr)>>.
Parliamo di Nazionale: l’estate appena trascorsa è stata particolarmente dura tra i risultati in campo e vicissitudini varie fuori. Che idea ti sei fatto e come avete vissute questa situazione? Non vi hanno fatto male anche le considerazioni di chi vi riteneva una squadra priva di grandi valori tecnici nonostante la presenza di grandi giocatori?
<<Certo, non è stato bello. Anche perché alla Gran Champions Cup di qualche settimana fa abbiamo vinto contro Brasile e Stati Uniti al gran completo. E queste squadre non erano certamente arrivate per fare vacanza. Ma sono discorsi che si fanno spesso in Italia, è il Paese in cui tutti sono allenatori e parlano facilmente. Rispetto a Rio, la squadra è nuova, è cambiata tanto. È normale che sia così: l’attività delle Nazionali va di quattro anni in quattro anni. Quindi, è giusto fare scelte e pensare a nuove soluzioni. Abbiamo pagato le novità in World League ed all’Europeo. Volendo ben vedere, in Polonia, abbiamo sbagliato una sola gara, quella con il Belgio. Io rivedo un gruppo che ha lavorato tanto in palestra. Sapevamo che dovevamo colmare dei gap e l’abbiamo fatto. Dalla World League alla Gran Champions Cup i miglioramenti ci sono stati. A tanta gente piace parlare, ma in questo modo non si tiene conto della crescita del gruppo. Ovviamente, dispiace per l’Europeo. Volevamo giocarci una medaglia. Però, per come è finita la stagione, possiamo essere soddisfatti>>.
Assolutamente, sarebbe sbagliato pensare il contrario. Anzi, forse è stata valutata troppo negativamente l’estate, senza tenere conto dei progressi fatti a settembre.
<<Questa crescita è normale secondo me e di competizioni ne ho giocate. In Italia è semplice guardare agli aspetti negativi. Penso che abbiamo lavorato sodo ed abbiamo fatto una preparazione impressionante. All’Europeo non sono arrivati i risultati sperati. Comunque volevamo riscattarci alla Gran Champions Cup. Con questo atteggiamento le cose migliorano. A settembre abbiamo avuto la dimostrazione che serve pazienza e poi i risultati arrivano da soli>>.
Sono anche le parole di un capitano. Come ci si sente ad essere il rappresentante della propria Nazionale.
<<Già essere in Nazionale è un orgoglio, essere capitano è qualcosa di incredibile. L’ho provato nel 2015, quando ho sostituito Birarelli che era infortunato. Quest’anno è stato molto diverso e veramente bello. Ringrazio tutti i ragazzi perché hanno dato il massimo. Complessivamente è stata una stagione che non ha portato medaglie se si esclude l’argento alla Gran Champions Cup, ma ha dato tanto ed ha permesso una crescita importante>>.
I ricordi positivi per quanto riguarda l’azzurro portano a Rio 2016. A distanza di un anno cosa ti è rimasto di quell’esperienza?
<<Ci sarebbe da scrivere un libro su Rio 2016. Sicuramente è stato il punto più alto della mia carriera. Non ho mai pianto per la pallavolo. Lì sono arrivate le lacrime. Mi sono reso conto di aver toccato qualcosa di grande. Resta il rammarico perché poteva finire meglio. Va detto che siamo andati oltre le aspettative di molti. Anche in quell’occasione sono stati fatti tanti discorsi pessimisti alla vigilia…>>.
Peccato solamente per la partita con il Brasile, peraltro persa non senza qualche recriminazione.
<<Esattamente, ci sono stati alcuni episodi davvero singolari e qualche decisione arbitrale non è stata proprio convincente… Poteva finire diversamente, basti pensare che se ai vantaggi non ci fosse stato tolto un punto per darlo a favore dei brasiliani. In quel caso, avremmo vinto il set e poi, si sa, sull’1-1 inizia un’altra partita>>.
Quando eravate in campo, non vi è mai passato per la mente di essere vittime di un arbitraggio favorevole ai padroni di casa?
<<Sono sincero: a volte, la sensazione c’è stata. Però è anche l’impressione che avverti quando ti viene tolto un punto. Aggiungiamoci anche la carica agonistica che porta con sé una finale olimpica e molte cose vengono ingigantite>>.
A Rio sei stato protagonista di un’altra partita: la semifinale contro gli Stati Uniti. Quando hai trovato il muro vincente contro gli USA che cosa hai pensato?
<<Sono crollato a terra per la tensione. Era un insieme di emozioni. Non credevo per quello che eravamo riusciti a fare. È stato qualcosa di indescrivibile>>.
È possibile che sia psicologicamente, sia fisicamente, quella partita abbia richiesto così tante energie da rendervi più opachi e meno lucidi nella finale contro il Brasile?
<<Può darsi, perché è stata una sfida incredibile, che molti hanno definita epica. A livello emotivo ci sono stati talmente tanti ribaltamenti che un po’ ci ha condizionato. È anche vero che quando ti giochi una finale olimpica c’è sempre un minimo di tensione. Aggiungiamoci anche che il Brasile aveva vinto in maniera completamente diversa la sua semifinale contro la Russia. Può darsi che quindi sia arrivato leggermente meglio all’appuntamento decisivo>>.
Secondo te, ci sono aspetti in comune tra l’Italia di Rio e quella del 2017?
<<In comune hanno lo stesso atteggiamento, la convinzione di provarci sempre e la determinazione nel rimanere lì, attaccata alla partita. In parte è la cosa che ci contraddistingue. Se noi ripartiamo da questo fattore, poi gli aspetti tecnici e tattici si possono migliorare>>.
Un insegnamento prezioso anche per la tua nuova Monza.
<<Va bene per qualsiasi sport e per qualsiasi competizione. Se non c’è quella voglia di fare, quella determinazione, alla fine non si va da nessuna parte. È un elemento indispensabile per ottenere grandi risultati in ogni ambito>>.

Federico Mariani
Nato a Cremona il 31 maggio 1992, laureato in Lettere Moderne, presso l'Università di Pavia. Tra le mie passioni, ci sono sport e scrittura. Seguo in particolare ciclismo e pallavolo.

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