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Federico Buffa con parte della redazione di Azzurri di Gloria nei camerini del Teatro Fraschini di Pavia

”Perché le Olimpiadi di Berlino? Beh, nella mia visione quei Giochi segnano la storia della sport (oltre che di un secolo), che perde totalmente la sua verginità: sono abituato a dire che De Coubertin muore nel 1936, perché lo sport come lo intendevano gli inglesi ed i francesi era totalmente diverso, uno sport completamente dilettantesco e per gentiluomini, ma da lì in poi si capirà come lo sport possa essere un grande veicolo per le idee e per i media. Il primo ad accorgersene era stato Mussolini nel 1934, ed in tanti avevano assistito a quella rassegna, e ne capiranno le potenzialità (infatti, dopo Berlino, i regimi giapponese ed italiano avevano ”prenotato” i giochi del 1940 e del 1944): durante le Storie Mondiali avevo raccontato di come Getulio Vargas penserà ai Mondiali brasiliani del 1950 come un evento a fine propagandistico/politico, anche se poi non li organizzerà lui, ma i tedeschi sono quelli che si sono maggiormente superati in questo intento”.

Federico Buffa giustifica così la scelta delle Olimpiadi del 1936 per il suo spettacolo, al quale Azzurri di Gloria ha assistito venerdì 18 al Teatro Fraschini di Pavia, intervistando il noto giornalista di Sky e ricavandone, oltre a un’autentica lectio magistralis sui Giochi di Berlino – i primi completamente sfruttati a livello di propaganda (per mostrare la grandezza della Germania hitleriana), anche un racconto introspettivo sulle ”sue” Olimpiadi, che avrete modo di leggere nella seconda parte dell’intervista: ecco di seguito il resto delle parole di Buffa ai nostri microfoni.

”In Germania addirittura vengono organizzate due Olimpiadi nello stesso anno, l’invernale a febbraio e l’estiva ad agosto- prosegue Federico, in un racconto a metà tra lo storico ed il poetico- e la loro macchina propagandistica è veramente fenomenale, anche perchè d’altronde nessuno poteva definirsi vicino a Goebbels, che era convinto che la propaganda decidesse la storia: da allora in poi, comunque, il modello organizzativo delle Olimpiadi riprenderà sempre quello di Berlino, e le Olimpiadi tedesche saranno le prime ”moderne”, e le prime ad avere tante cose, tra cui spiccano i tedofori. Nessuno aveva mai pensato ai tedofori (che Leni Riefenstahl voleva veder correre nudi), ma nell’idea hitleriana e goebbelsiana c’era questa sorte di ponte tra la classicità greca e la nuova classicità, la loro: pensate che Werner March, l’architetto originario dell’Olympiastadion, aveva pensato ad una struttura in vetro ed acciaio simile all’Old Trafford, in un’idea avanguardista e rivoluzionaria, ma Hitler boccia questo progetto e richiama Speer per farlo ricoprire di marmo, rendendolo così un vero ponte verso la classicità. In più, durante le Olimpiadi, ai vincitori venivano consegnate delle querce, che rappresentavano il loro virare nuovamente verso il paganesimo: la quercia di Odino, che è uno dei simboli pagani, ed io stesso ho avuto varie testimonianze dai parenti degli italiani medagliati nel 1936 (la grande protagonista azzurra è Ondina Valla), perchè gli alberi sopravvivranno agli uomini. Anche quest’idea, quella di consegnare qualcosa che sopravvivrà a chi l’ha vinta, poteva venire in mente solo a chi ha controllato il mondo per 12 anni, e voleva apparire sotto un’aria di benevolenza, ma in realtà dopo pochissimi giorni aveva già iniziato ad abbattere tutti i simboli olimpici, partendo dal cancello di ferro del Villaggio, mostrando la sua voglia di strangolare l’Europa ed il mondo: Goebbels contava sul fatto che l’Inghilterra ci avrebbe messo 3 anni ad entrare in guerra ed aveva ragione, e così, anche se in realtà i Giochi del ’36 sono ricordati come quelli in cui Owens batte Hitler, la Germania li stravince. Il numero di ori tedesco è spaventoso, alla cinese, e soprattutto lo è quando vieni da un’Olimpiade da 4 ori, e non ne vincerai mai più così tanti: Goebbels era riuscito a creare uno spirito fantastico anche negli atleti, che non ci sarà né prima, né dopo. Questi sono i Giochi in cui esordirà il basket, che viene inserito come ”contentino” per gli USA, dopo la loro scelta di non boicottare i Giochi, nonostante le pressioni dell’intellighenzia ebraica (Washington Post, New York Times ecc), insieme al baseball, che però è solo uno sport dimostrativo e sparirà ben presto: c’è anche James Naismith, l’inventore del gioco, che assisterà alla ”partita della vita”, quella finale tra gli Stati Uniti ed il Canada, tra la sua patria ed il suo paese d’adozione. Si potrebbe andare avanti a parlare per ore delle novità assolute dei Giochi del 1936, anche perché continuo a leggere sulle Olimpiadi e modificare leggermente la parte narrativa (quella teatrale è scritta dal direttore ed intoccabile), ed il personaggio che mi colpisce di più, a parte Luz Long, è Leni Riefenstahl, che vive tutto il secolo: muore a 101 anni, e riesce sempre a salvarsi in sede giudiziaria, nonostante fosse palesemente al servizio del nazismo, pur senza aver preso mai la tessera del partito. Leni, come dicevo prima, si salva dai processi ai nazisti, e non è un caso che questi ultimi si tengano a Norimberga: quella era la città preferita di Hitler, la stessa dove voleva fosse costruito da Speer uno stadio da 450mila posti”.

Uno dei grandi protagonisti del 1936, oltre a Jesse Owens (oro nei 100, 200, nella 4×100 e nel lungo), è il coreano Son Kitei, che vincerà la maratona per il Giappone, la nazione che stava schiacciando il suo paese, e l’aveva addirittura privato del suo nome (si chiamava in realtà Son Kee-Chung, ndr).

”Secondo me Son Kitei è l’Olimpiade per la sua storia atletica e personale, anche se Jesse Owens ne è il grande protagonista. Non ci sono comunque vergini nel 1936, e questo si capisce dalla storia di Owens: quando torna a casa, Roosevelt non gli manda nemmeno un telegramma, poi lui cerca di dormire a New York e viene rifiutato da 7 alberghi in quanto nero, mentre l’ottavo lo accoglie solo facendolo entrare dalla porta di servizio e dall’ingresso per i facchini ed i dipendenti. Jesse, inoltre, termina la sua carriera a soli 21 anni, poco dopo aver vinto 4 ori, perché si era rifiutato di partecipare ad uno dei meeting straordinari con cui il Comitato Olimpico americano cercava di rientrare delle spese dei Giochi e sfruttare l’onda emotiva delle Olimpiadi: lui non dà la sua disponibilità e Brundage, colui che aveva incendiato il Madison Square Garden con un discorso antisemita ed allontanato così l’idea del boicottaggio (e lo stesso che nel 1972, confermando la sua indole antiebraica, farà proseguire i Giochi di Monaco al grido di ”The show must go on”), lo squalifica a vita: Owens da lì in poi correrà solo ad handicap contro dei cavalli per un pubblico bianco, come se fosse un animale da circo, e la sua è la fine più ingloriosa di sempre per un atleta olimpico. Una storia che raramente viene raccontata, e che è tristissima, perché poi l’americano investirà i suoi dollari in alcune attività e non avrà fortuna, verrà ignorato dagli americani di Messico ’68 quando tenterà di contattarli (Carlos gli dirà che ha già fatto il suo tempo), e per parecchio tempo viene dimenticato, fino a quando non morirà di cancro, da grande fumatore qual era”.

Finisce qui il racconto delle Olimpiadi di Berlino fatto da Federico Buffa ai nostri microfoni, un racconto nel quale ci ha svelato alcuni dei segreti del suo spettacolo, e non perdetevi la seconda parte dell’intervista, nella quale il noto giornalista ci parlerà delle ”sue” Olimpiadi, e dei suoi ricordi legati ai Giochi.

Marco Corradi
31 anni, un tesserino da pubblicista e una laurea specialistica in Lettere Moderne. Il calcio è la mia malattia, gli altri sport una passione che ho deciso di coltivare diventando uno degli Azzurri di Gloria. Collaboro con AlaNews e l'Interista

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