COMO, dai nostri inviati Marco Corradi e Federico Mariani

”Azzurri di Gloria” ha ottenuto l’accredito per il Giro di Lombardia, che si dipanava sul percorso da Bergamo a Como, e abbiamo realizzato contributi e interviste: ecco a voi le parole di Michele Bartoli, che si è concesso ad ADG al termine della corsa.

Michele Bartoli

Il nostro Federico Mariani intervista Michele Bartoli

MICHELE BARTOLI INTERVIENE AI MICROFONI DI ”AZZURRI DI GLORIA”

Un’autentica leggenda del ciclismo italiano, un corridore che ha dedicato tutta la sua vita alle corse da un giorno e si è tolto delle enormi soddisfazioni: Michele Bartoli, 47 anni e tanta verve, è stato uno dei più grandi del ciclismo azzurro degli anni ’90, e il suo palmares parla da solo. Vittoria nel Giro delle Fiandre 1996, doppio successo alla Liegi-Bastogne-Liegi (1997-98), Freccia Vallone vinta nel 2000 e doppietta nel Lombardia, conquistato rispettivamente nel 2002 e nel 2003: il 2002 di Michele è da ricordare, coi successi ottenuti anche nella Milano-Torino e nell’Amstel Gold Race, e il pisano è una delle grandi figure del nostro ciclismo. Al termine del Giro di Lombardia corso sabato, Michele Bartoli si è concesso ai nostri microfoni, commentando la stagione del ciclismo e la corsa che si era conclusa da pochi minuti: ecco le sue parole.

Ciao Michele, quali sono le tue impressioni su questo Giro di Lombardia?

”Indubbiamente Nibali è stato più forte di tutti: ha tenuto la gara in salita, attaccato in discesa, guadagnato in pianura e disputato la corsa perfetta. Vittoria meritata, e per l’Italia arriva la seconda vittoria in una classica nel 2017 dopo quella di Ulissi in Canada (GP Montreal): insomma, un bel finale di stagione”.

Alla luce di questi risultati e dell’unica tappa vinta dagli azzurri al Giro (Nibali) e al Tour (Aru), tanti hanno parlato di ciclismo italiano in crisi, su tutti Mario Cipollini. Ti senti d’accordo con lui, oppure hai un’idea opposta riguardo al nostro movimento?

”Il ciclismo italiano non è assolutamente in crisi, basta guardare i podi fatti nei grandi giri da Nibali, le tappe vinte, le classiche vinte e l’ottima Vuelta: mi fa sorridere sentire questo tipo di considerazioni sul nostro ciclismo. Le ultime classiche, il GP Montreal e il Giro di Lombardia, le abbiamo vinte con noi con Diego Ulissi e Vincenzo Nibali, abbiamo fatto podio al Giro e alla Vuelta, vinto tappe in ogni grande corsa a tappa e messo in mostra tanti corridori. Non siamo in crisi”.

Tra i corridori attuali, ce n’è uno nel quale ti rivedi, o che ha uno stile di corsa simile al tuo?

”Non so onestamente. Nibali ha vinto due Lombardia come li ho vinti io, abbiamo diverse caratteristiche fisiche, ma a lui piace attaccare come piaceva a me, e abbiamo lo stesso trasporto verso la gara e nel voler divertire il pubblico”.

Il ciclismo attuale è diverso da quello che hai lasciato nel 2003: cosa ti piace e cosa non ti piace di questo ”nuovo” ciclismo?

”La gente pensa che sia cambiato, ma onestamente non sono di quell’avviso. Il ciclismo già ai miei tempi era molto programmato, con tecnologia e tabelle d’allenamento, gli atleti facevano i corridori prima e lo fanno ora, i corridori specializzati in un certo tipo di corse c’erano già allora… Se c’è qualcosa di cambiato, è certamente il numero di gare, però per il resto è tutto molto simile e i team sono molto ”aperti”: non è come ai tempi di Moser e Saronni, dove si lavorava per un leader solo, e ad esempio al Giro dell’Emilia Nibali aiuta Visconti a vincere, qui vince Nibali. Già ai miei tempi vinceva Museeuw o vinceva Tafi, e quindi il ciclismo era simile: non lo vedo diverso, giusto nella globalizzazione, che deriva dalla giusta evoluzione dei tempi. Un ciclismo che corre in tutto il mondo è bello”.

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