Luigi Busà, campione italiano di karate, parla dell’amore per questa disciplina e della preparazione in vista di Tokyo 2020.

FONTE: Pagina Facebook Ufficiale dell’atleta

Busà: “Il Karate mi ha salvato la vita”

A che età hai iniziato a praticare Karate ?

Ho iniziato a 4 anni, mio papà aveva, e ha tuttora, un  centro di arti marziali in provincia di Siracusa. Ho cominciato a gattonare e giochicchiare sul tatami e da lì non sono più uscito, è poi diventata la mia vita, il mio lavoro e la mia passione.

Qual è la cosa che più ti piace di questa disciplina ?

La cosa che veramente mi piace è che il karate è un’arte marziale, di conseguenza ti insegna a rispettarti e rispettare il prossimo, chiunque esso sia. Non importa se è più grande, più piccolo, più forte o meno forte, questo dà anche una condizione, nella vita generale, che permette di rapportarti in modo diverso con le persone, in maniera più efficace e costruttiva, in pratica ti fa capire che il prossimo va sempre rispettato e non giudicato. In aggiunta mi piace tanto la competizione, c’è chi lo fa per hobby e altri che, come me, lo praticano in maniera competitiva. Ho basato tutta la mia vita sulla competizione, di conseguenza sono molto competitivo anche in altre occasioni, anche quando sto con gli amici, non mi piace mai perdere e la competizione è un elemento che mi dà molta motivazione.

C’è stato o c’è ancora qualche modello a cui ti ispiri ?

C’è stato quando ero piccolo, ma attualmente non ho nessuno a cui mi ispiro. Non ho mai avuto qualcosa di costante a cui affiancarmi, parliamo di quelle quattro o cinque persone che in quel momento erano brave, ma successivamente mi sono impuntato per dimostrare il mio valore e far vedere la mia idea di karate, che tuttora rimane mia e che nessun altro è riuscito a copiarmi, anche se qualcuno ci ha provato. In particolare è una cosa che ho studiato con mio padre, concentrandomi su me stesso e sui miei punti di forza. Il risultato è un karate un po’ diverso, ma molto vincente e produttivo. Ho voluto sempre dare un’impronta diversa e nostra, in modo che quando si parli di Luigi Busà, si intenda uno stile tutto suo e diverso.

Quanto è importante il supporto dell’Arma dei Carabinieri ?

Per non dire  importantissimo direi quasi vitale. Il supporto dell’Arma dei Carabinieri ha fatto si che si creasse una seconda famiglia, ci vediamo tutte le mattine, a volte i pomeriggi e nelle gare. Abbiamo un compenso economico ogni mese che ci dà la possibilità di diventare professionisti, e di dedicarci interamente alla disciplina. In altri Paesi le persone vanno a lavorare la mattina e si allenano nel pomeriggio, questo fa capire l’importanza di avere persone intelligenti e competenti come supporto. Senza di loro bisognerebbe trovare un altro modo per sostentarsi, e quindi la mente sarebbe occupata da mille problemi, da loro riceviamo sempre un supporto e un incoraggiamento nei momenti più difficili.

Hai vinto numerosi campionati italiani, europei e mondiali, qual è la gara che più delle altre ti ha colpito e insegnato qualcosa?

Ho un ricordo bello di ogni gara, e mi porto sempre dietro qualcosa. Sicuramente ricordo molto bene il titolo mondiale assoluto vinto nel 2006 ad appena 18 anni, che mi ha consegnato il record di più giovane campione assoluto del mondo di karate, ma c’è anche da dire che lì ero molto giovane e un po’ incosciente, dunque sono ricordi felici ma un po’ più sbiaditi. Il secondo titolo mondiale vinto nel 2012 è sicuramente un ricordo più acceso e indelebile. Avevo 25 anni, e non ho subito neanche un punto contro, in finale ricordo lo storico scontro con Rafael Aghayev, mio storico avversario, veniamo definiti i Messi e Ronaldo del karate e ci alterniamo nelle vittorie.

In quella occasione lui era imbattuto da quattro/cinque anni, ma sono riuscito a batterlo in finale e a combattere successivamente a Parigi, in un palazzetto stracolmo di 5000 persone. Sono ricordi magnifici, in  un periodo dove ero più consapevole e dove il karate mi ha dato tanta gioia anche in termini di pubblico, con la gente che chiedeva foto e autografi, una scena che purtroppo non vediamo spesso in altri Paesi dove per esempio il calcio è molto più predominante rispetto agli altri sport.

Hai già ottenuto il pass per Tokyo 2020, ti senti sotto pressione ?

Inizio col dire che sono molto grato ad avere quest’opportunità, che tanti campioni del passato di cui conosco le gesta e di cui ho fatto parte tempo fa, non hanno avuto. La parte più difficile è stata sicuramente la qualificazione, parliamo di due anni di gare dove solo i primi quattro al mondo si sarebbero qualificati. È stata molto dura e gli incontri sono stati difficili, non solo per le gare in se, ma anche per la preparazione e tutti i vari spostamenti da un Paese all’altro con fusi orari ecc. In ogni gara dovevi dare il meglio di te e magari, disputando anche tre gare in un mese, risultava difficile mantenere la forma. In uno sport di contatto come il karate non è da sottovalutare il tempo di recupero dopo ogni gara per riguadagnare le forze dopo i colpi subiti.

Ovviamente c’è anche la parte mentale che riguarda la pressione, un evento del genere ne trasmette ovviamente tanta. Le pressioni, non te lo nascondo, sono tante, ma ad oggi sto lavorando molto sullo stato mentale e magari le potessimo avere durante tutta la vita, perché sono proprio queste che ti fanno sentire più vivo e, per come la penso io, più pressioni hai e più grande sei, significa che mi fanno capire quanta importanza ha per me questo sport. Le pressioni come ce le ho io ce le avranno tutti, e sento di poterle reggere e portarle dalla mia parte per poter salire sul podio. Il mio motto è quello di lavorare al massimo per non trascurare nulla e non rimpiangere niente, il più forte vincerà e voglio arrivare io ad esserlo.

Come ti stai preparando ? Ci sono degli avversari che temi di più?

Ho sfruttato l’unica cosa buona di questa pandemia che abbiamo vissuto, ovvero il tempo. Ho lavorato molto sui dubbi e le insicurezze che avevo, non pensando al fatto che sono già qualificato. Sono contento perché quel lavoro finalmente sta dando i suoi risultati e sto avendo risposte ottimali al lavoro fatto. Ho lavorato anche sui punti di forza per tenerli vivi, cercando di farmi trovare il meno prevedibile possibile dagli avversari che sfiderò. Riguardo agli avversari, l’unica cosa certa è che a questa competizione ci si può trovare contro solo gente forte e preparata, gente che come me ha lavorato tanto e superato le qualificazioni.

Individuarne uno solo è difficile, sicuramente ci saranno quelli che daranno più fastidio, uno sicuramente sarà proprio Rafael Aghayev, si è già parlato di una finale fra noi due, ma lì è tutta una questione sul momento, può arrivare l’outsider che ti fa una gara senza errori e vince. Non voglio ne sopravvalutare ne sottovalutare nessuno, mi sto concentrando su di me, e forse avrò poco tempo per studiare anche gli avversari, ma sono molto istintivo e solo quando sei lì in gara ti accorgi dei punti di forza e di debolezza tuoi e suoi. Sicuramente inciderà molto il dettaglio e i particolari su cui ci si concentrerà durante la gara.

Infine, da atleta e campione in questa disciplina, cosa ti ha insegnato fino ad oggi il karate dentro e fuori dalla palestra ?

Il karate mi ha salvato, vengo da Avola, un posto bellissimo, ma la noia d’inverno può portare all’apatia e a pensieri sbagliati, l’adolescenza con gli amici e la giovane età influiscono ancora di più. Sostanzialmente il karate mi ha dato una motivazione per impiegare in modo costruttivo il mio tempo. È una disciplina che consiglio a tutti i giovani, ma in generale qualsiasi sport è fondamentale per farti crescere ad oggi in modo sano, a discapito di tutta la tecnologia e del mondo sempre diverso che ci circonda. A me ha insegnato tanto, praticare un’arte marziale nella vita ti fa avere una marcia in più, ti accorgi che le difficoltà e i momenti felici vengono affrontati in modo diverso rispetto alle altre persone.

Dico sempre che non siamo persone normali, ma viviamo in una dimensione diversa, per noi la gara arriva ad essere il massimo obbiettivo. Da fuori non cambia nulla o poco riguardo l’esito della gara, per noi che la viviamo da protagonisti è fondamentale, e dal punto di vista mentale può buttarci giù in maniera incredibile o renderci felicissimi. Siamo in una realtà parallela che dà una marcia in più per vivere la propria vita, anche quando parliamo si nota che abbiamo qualcosa di diverso.

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