-PAVIA, dai nostri inviati alla Canottieri Ticino Pavia Marco Corradi, Simone Lo Giudice e Luca Tantillo

La foto dei nostri inviati alla Canottieri Ticino Pavia: abbiamo intervistato Manfredi Rizza esattamente dove si allena
La foto dei nostri inviati alla Canottieri Ticino Pavia: abbiamo intervistato Manfredi Rizza esattamente dove si allena

L’avevamo intervistato qualche mese prima dei Giochi di Rio 2016, la sua prima Olimpiade, e Manfredi Rizza non ha perso la sua spontaneità e disponibilità al termine della sua ”prima volta” a cinque cerchi, che l’ha visto effettuare una grande semifinale e chiudere al 6° posto nella finale del K1 200: a tre mesi dall’Olimpiade brasiliana, siamo nuovamente ad intervistare Manfredi, che ci ha accolto all’interno della sede della Canottieri Ticino Pavia, la società per la quale è tesserato.

Ecco dunque la prima parte della nostra intervista con Manfredi, nella quale racconta ad Azzurri di Gloria le emozioni della prima volta olimpica e le sue sensazioni su questa fantastica esperienza: nel pomeriggio, invece, arriveranno le sue parole sulle gare di Rio, sul futuro e sul canottaggio in generale.

Ciao Manfredi, siamo qui a tre mesi dalla tua prima Olimpiade, quella di Rio: ci racconti i tuoi Giochi e questa fantastica esperienza?

”Si tratta di un’esperienza difficile da scrivere in poche parole: sicuramente la associo a tutto il percorso che ho fatto per arrivarci, perché la gara è soltanto l’ultimo pezzettino di un grande puzzle che si costruisce piano piano con tantissima fatica. L’emozione più grande è stata il momento appena dopo la semifinale, lì ero contento come mai lo sono stato nella vita: la finale è andata un po’ così, poi in realtà il mio difetto è che sono un po’ avido, e dunque essere in finale non mi bastava più. Mi son dovuto accontentare del 6° posto, anche se per pochi decimi: ma si sa, in una gara di 200m i decimi contano eccome’’.

Come hai vissuto il Villaggio Olimpico? Nei giorni precedenti ai Giochi erano piovute critiche da più parti per la scarsa organizzazione e la scarsa pulizia degli alloggi…

”Premetto che, quando vado in gara, cerco di non farmi distrarre da nulla, e quindi non ho badato più di tanto al Villaggio Olimpico: non era sicuramente l’appartamento più pulito che avessi mai visto ed avevano avuto grossi problemi di tempistiche ed organizzazione, anche perché noi avevamo letteralmente un buco al posto di una finestra, ecco. Poi i bagni non funzionavano, e la mensa non era sicuramente un ristorante a 5 stelle, ma questo non ha pesato perché alla fine si mangia maluccio ovunque, anche al Mondiale che avevamo organizzato in Italia: sei in un campo gara, in una mensa che deve soddisfare le esigenze di 10mila atleti, e dunque è fisiologico che la qualità ne risenta. Il pollo te lo cucinano una volta, poi sta lì, caldo ma sta lì: è chiaro che non sia eccelso, può capitare la volta che l’hanno appena fatto e sei fortunato, ma può anche capitare che sia freddo. Bisogna capire che anche questo fa parte della gara: per farvi capire il grado d’attenzione che si dà a questo evento, mi ero fatto consigliare dal nutrizionista quando mangiare, se mangiare durante il viaggio ecc.’’.

Che cosa ricordi del tuo primo giorno a Rio?

”Quasi nulla, perché avevo un sacco di jet-lag addosso (ride). Siamo arrivati nel Villaggio, che è questa città gigantesca ed enorme: ci hanno fatto fare un giro in pullman per arrivare al nostro alloggio ed al nostro ”albergo’’: abbiamo conosciuto i nostri compagni di camera, nel mio caso Elia Viviani, oltre a Carlo Tacchini che conoscete già, e ci siamo ambientati. Purtroppo non ho vissuto il post-oro di Viviani, perché i nostri campi gara erano a più di un’ora di macchina/pullman, quindi non ci incrociavamo mai e si passava tutta la giornata là: tra l’altro, nei giorni di gara, la federazione ti trasferiva nei pressi del campo gara. Tornando al primo giorno, siamo entrati nel Villaggio e subito abbiamo pensato a far colazione: siamo entrati in questo tendone-mensa enorme, e credo d’aver capito lì cosa significhi l’Olimpiade, con questa mensa di 10mila persone. Non sapevamo dove guardarci intorno, e fortunatamente non abbiamo incontrato nessuno, altrimenti credo che sarei impazzito: abbiamo avuto un paio di giorni di frenesia totale, come bambini col giocattolo nuovo che non possono fare a meno di usarlo, noi continuavamo a girare per il Villaggio. Il mio primo pasto è stato fatto con pizza, noodles e altro: tutto tranne quello che avrei dovuto mangiare, stavamo un po’ deviando da ciò che dovremmo fare, stando alzati fino a tardissimo per il jet-lag, però poi dal secondo giorno in avanti ci siamo rimessi in carreggiata. È anche normale scegliere qualche ”schifezza” in una mensa piena di scelte, però poi ho conosciuto persone che mi hanno consigliato sul da farsi e sono tornato alla normalità’’.

Come hai vissuto i giorni dal tuo arrivo alla gara del K1 200?

”Sono arrivato il 9 e gareggiavo circa 10 giorni dopo, e posso dire di non aver fatto nulla di speciale: ci siamo allenati, per di più, e cercavamo di gestirci bene e capire quali potevano essere le difficoltà logistiche con autobus ecc. ed i tempi di percorrenza: i bus non erano mai in orario, e comunque la colazione si faceva in mensa, quindi dovevi scendere dall’appartamento, andare in mensa e tornare indietro, tutto tempo perso e da calcolare in un’eventuale mattina di gara, anche perché non sapevo della possibilità del trasferimento inizialmente, quindi pensavo di dovermi alzare alle 5 nei giorni di gara. È stato impressionante, comunque, vedere a qualunque ora del giorno gente in mensa e gente allenarsi: sono passato alle 5 di mattina o alla sera tardi, e trovavi sempre qualcuno che correva o qualcuno in palestra. Ti svegli alle 5.30 per allenarti e invidi gli altri, però poi all’Olimpiade scopri che a quell’ora lì tutti si allenano, e forse tu ti sei pure mosso tardi (ride). Questo è stato un grosso stimolo, perché ora sto riprendendo l’università e non sapevo se sarei riuscito a far tutto, invece ho visto che si può e per ora sta funzionando: comunque a Rio ci siamo allenati come facevamo a casa, facendo poi scarico e dunque minor lavoro nei giorni pre-gara, una cosa che ci dava più tempo libero per ”cazzeggiare’’. Tra l’altro, ci siamo dovuti abituare a mangiare panini e vivere d’espedienti vari a pranzo, perché la nostra federazione internazionale ha attuato quest’insolita scelta: dovendo fare due allenamenti, d’altronde, dovevamo stare al campo gara e ci siamo adattati a questa situazione’’.

Hai fatto incontri particolari al Villaggio Olimpico?

”Beh, tutti gli italiani erano nel mio stesso complesso, ripensandoci potrei anche aver incontrato qualcuno senza essermene accorto, perché non stai lì a guardare tutti quelli che passano (ride). Purtroppo non ho fatto incontri di rilievo, anche se avrei voluto parlare coi giocatori NBA, che però erano sempre assillati da gente che voleva far foto ecc. Ho incrociato Gasol a pranzo, ma non ci ho parlato perché lui, come Parker, era circondato da persone/atleti che cercavano di far foto. Viviani? L’ho conosciuto pochissimo ed ovviamente nessuno pensava che avrebbe vinto l’oro, forse manco lui: posso dire che è una persona molto cordiale ed equilibrata, non abbiamo parlato molto in realtà’’.

Sei arrivato a Rio nei primissimi giorni dell’Olimpiade, quando l’Italia stava ottenendo grandi risultati: come si viveva quell’atmosfera nel Villaggio?

”Vi dirò la verità, la dimensione-squadra Italia, almeno dal mio punto di vista, si vive molto poco: da atleta che nessuno conosce all’infuori del suo gruppo ristretto, posso dire che esistono sostanzialmente 3 classi. Quelli come me, i signori nessuno, quelli che vincono medaglie ma si sa già che non diventeranno famosi (Viviani) e quelli che sono famosi e vengono seguiti a prescindere dai risultati, ovvero Pellegrini, Cagnotto, i pallavolisti ecc. Pallavolo e pallanuoto hanno fatto lo stesso risultato, ma il Settebello viene considerato meno per questo sistema italiano per cui esistono persone di A e di B. Anche tra atleti si sente questa differenza: ho parlato coi ragazzi della pallanuoto e sono persone piacevoli, con cui si parla di tutto e volentieri, e con le ragazze del nuoto sincronizzato che sono timide ma simpaticissime, mentre invece si sono persone che se la tirano e non ti considerano minimamente. Si percepisce la differenza tra sport di cartello e sport minori, già nelle piccolissime cose: se io chiedevo una cosa venivo messo in attesa, per altri si muovevano mari e monti. Ma anche a Casa Italia, quando sono andato io nessuno mi considerava, salvo poi organizzare grandi cose quando andava la Cagnotto: sono atteggiamenti completamente diversi, anche se posso dire di essere contento così, per come sono fatto non amo la notorietà ed i riflettori puntati addosso, che trovo spesse volte inopportuni’’.

Hai detto di aver conosciuto i ragazzi della pallanuoto, puoi dirci qualcosa di loro?

”Uno di loro mi ha salvato la vita al rientro, perché stavo morendo di fame e mi ha ceduto un piatto di gnocchi, credo fosse il capitano: ho conosciuto loro ed i ragazzi del canottaggio, che mi hanno raccontato svariate cose e nel pullman che portava al campo gara parlavano della canoa. Ero seduto dietro di loro e li sentivo parlare di come la canoa si è messa male, quando hanno detto che ”la canoa si è salvata grazie a Rizza e Tacchini’’, questa cosa mi ha fatto un po’ ridere: non stavano parlando bene della nostra federazione, ma è molto difficile farlo perché siamo in condizioni disastrate’’.

Hai partecipato alla cerimonia di chiusura dei Giochi? Se sì, come l’hai vissuta? Dall’esterno è sembrata molto caotica, ed ha ricevuto parecchie critiche…

”L’ho vissuta ed è stata molto confusionaria: all’inizio mi dicevo ”mamma mia che palle’’, poi però quando entri al Maracanà con la gente che urla e fa festa, non senti neanche la pioggia battente. È stato bellissimo, davvero emozionante, sarei voluto andare a Tokyo subito ed incatenarmi lì per i prossimi 4 anni, fino alle nuove Olimpiadi: è stata una cerimonia molto spettacolare, un piccolo gioiello in mezzo alle difficoltà, anche perché è molto difficile fallire una cosa del genere, perché quando sei in uno stadio da 100mila persone devi solo fare festa, ed in quello i brasiliani sono molto bravi’’.

Si chiude qui la prima parte della nostra intervista a Manfredi Rizza: appuntamento nel pomeriggio con la seconda parte, nella quale Manfredi ci ha raccontato le sue gare ed i suoi propositi per il futuro.

Marco Corradi
31 anni, un tesserino da pubblicista e una laurea specialistica in Lettere Moderne. Il calcio è la mia malattia, gli altri sport una passione che ho deciso di coltivare diventando uno degli Azzurri di Gloria. Collaboro con AlaNews e l'Interista

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