Abbiamo intervistato l’atleta, reduce dal 7° posto agli Europei di Minsk ma soprattutto dal 5° posto e dalla medaglia d’oro a Duisburg, conquistata insieme al collega Andrea Diliberto. 

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Manfredi Rizza, 28 anni, alle Olimpiadi di Rio 2016 (fonte: www.rio2016.coni.it)

MANFREDI RIZZA: “LE MEDAGLIE SI VINCONO IN ALLENAMENTO. NON CREDO NEL TALENTO MA NEL LAVORO QUOTIDIANO”

Partiamo con una domanda insidiosa: come stai?

Sto molto bene [cit.] (ride) Sto abbastanza bene, il fatto di aver disputato delle belle gare – belle ma non bellissime – ti dà il giusto stimolo per andare avanti, comunque siamo ancora agli inizi della stagione.

Belle ma non bellissime, però c’è scappata anche una medaglia d’oro nel K2 200 metri…

Vi confesso questa cosa: in realtà io sono molto più “contento” per il 5° posto in K1 a Duisburg. È una specialità olimpica e il livello in questa gara era davvero molto alto. Per cui essere arrivato tra i primi cinque significa che almeno per ora ho un livello sufficiente per poter competere all’estero. È chiaro che non si sta parlando di una competizione valida per qualche tipo di titolo, per cui non sai mai qual è la condizione degli avversari. Certo, finché non si vince non si è soddisfatti, però sono contento perché le stesse persone che nella finale del K1 200 metri mi hanno dato pochi centesimi l’anno scorso al mondiale mi hanno dato quasi un secondo. Vuol dire che c’è stato un bel passo in avanti.

E hai notato un miglioramento dei tempi anche da parte dei tuoi avversari?

Be’, la questione dei tempi in realtà è molto spinosa, sia perché è uno sport di prestazione sia perché le condizioni atmosferiche e l’acqua non sono mai uguali. Valutare il tempo non è mai una cosa utile, da questo punto di vista. Sicuramente il fatto di essere così vicino a loro è una cosa positiva. Considera che comunque sono arrivato a 2 centesimi dalla medaglia. È veramente poco, e fino a qualche anno fa sarebbe stato quasi un parimerito perché i millesimi si considerano da poco tempo. È stata una gara molto “chiusa”, sono arrivato molto vicino: sono contento per questo.

Nell’ottica di Tokyo 2020 su cosa potete essere certi e su cosa invece dovete ancora lavorare?

Sicuramente c’è tantissimo da lavorare: non scendo nel tecnico ma ci sono aree di miglioramento, in questi due mesi e mezzo per la qualifica che sarà a Szeged, in Ungheria. Speriamo di colmare le lacune.

Sono più fisiche/tecniche o mentali?

Dal punto di vista mentale, almeno storicamente, noi italiani duecentisti siamo un’ottima squadra, nel senso che abbiamo sempre fatto delle bellissime gare anche in condizioni di stress elevato. Secondo me l’aspetto mentale, se per “mentale” intendi per esempio in gara, è buono.

In gara ma anche in allenamento.

Nella nostra distanza e forse in generale nel nostro sport comunque quello che conta di più è sicuramente l’allenamento. Tant’è vero che, come sicuramente qualcun altro prima di me avrà detto, in gara si va solo a ritirarle, le medaglie. Si vincono in allenamento. Ed è vero: nel nostro sport quello che conta è come ti alleni. Io personalmente sento che se c’è una cosa bella rispetto a Rio, è che l’approccio all’allenamento è sicuramente maturato. Quello mi dà molta fiducia. Io so che adesso faccio le cose in un certo modo, sono cresciuto anche dal punto di vista dell’approccio professionale. Di fatto comunque gran parte dell’allenamento è mentale: tu un allenamento lo puoi fare, o lo puoi fare bene. Spesso la differenza tra un buon atleta e un cattivo atleta è l’approccio che uno ha nei confronti dell’allenamento, molto più di quello alla gara. È un po’ come Rocky che vince nonostante i mezzi. 

Sempre in ottica Tokyo 2020, per andare alle Olimpiadi ci si prepara per quelle o per l’obiettivo intermedio, che in questo caso è Szeged?

La verità è che fa tutto il tempo. Quattro anni sono un periodo molto breve, per certi aspetti, ma anche molto lungo, per cui ci si riempie spesso la bocca con frasi incredibili, momenti incredibili. La verità è che le sequenze musicate nella vita vera non esistono. Nel quotidiano è facile dire: “voglio andare alle Olimpiadi”, però poi fare quello che serve tutti i giorni è più difficile. Per questo dico che “il tempo fa tutto”. Uno parte a mille, però poi alla fine è già un anno che lavora e magari questo obiettivo delle Olimpiadi comincia a sfocarsi. L’anno dopo si sfoca ancora di più. Il terzo anno tu neanche le vedi più, le Olimpiadi. Per preparare un obiettivo così a lungo termine senza saltare gli step intermedi si fa esattamente così: non si saltano gli step intermedi. È importante come si scandisce bene la giornata in situazioni di allenamenti, recupero e riposo. Io sono uno che non crede nel talento.

Un’affermazione che potrebbe essere fraintesa: in che senso non credi nel talento?

Nel senso che secondo me è tutto lavoro. Quando vai a fare una competizione mondiale non è che non ci sia talento – perché tutti ce l’hanno, se no non sarebbero lì – ma più spesso chi vince è chi ha fatto fruttare meglio il proprio talento. Se uno è perfetto, ha una sensibilità in acqua da paura, però non ha la resilienza, la perseveranza, la freddezza mentale per fare la gara, per fare gli allenamenti e per essere costante negli allenamenti – per essere costante anche nei momenti di difficoltà che nel quotidiano tutti viviamo – questa cosa ti penalizza. Invece se sei bravo a essere distaccato in senso professionale, se riesci a non soffrire di certe cose riesci ad allenarti meglio. Secondo me il talento è anche in quelle cose, che sono meno appariscenti, meno gratificanti anche, però spesso sono quelle che pagano. E che poi ti consegnano la medaglia in gara, come dicevamo. Non sempre l’allenamento va bene, però il fatto che l’allenamento non sia andato bene è un segnale che può voler dire tante cose. Anche un po’ di ottimismo non guasta, che non vuol dire raccontarsi favole, ma saper prendere anche con leggerezza il lavoro. Non deve diventare un’ossessione. Tra quelli della mia generazione, quelli che sono andati più lontano non erano quelli che visti agli inizi avresti detto fossero quelli più talentuosi, erano piuttosto intermedi. Io per primo non ero un fenomeno. Ma siamo quelli che si sono dimostrati più costanti, che forse hanno avuto anche il coraggio di rischiare. Perché poi comunque uno non sa mai se arriva. Devi averci anche un po’ le palle per investire su te stesso. Se anche uno si sceglie una strada che magari non è la più facile però è convinto, si impegna, gli piace, continua a martellare, da qualche parte arriva.

A proposito di riposo, come si “riposa” Manfredi Rizza? Film, serie tv, musica…?

Attualmente sto litigando con la tesi universitaria (ride). In questo periodo il mio tempo di riposo è piuttosto risicato, nel senso che se non mi sto allenando o non sto facendo qualcosa inerente alla canoa, probabilmente sto studiando. Nel frattempo sono anche entrato nell’Aeronautica Militare, però per ora il mio focus è sulla tesi e finire gli ultimi esami. Quando posso guardo anche qualche serie tv. Ultimamente sto guardando una serie tv che non è proprio “virile” e si chiama Jane the virgin. E mi piace tantissimo perché noi siamo orfani di Boris e sostanzialmente questa è come se fosse Occhi del cuore però spagnola, ed è bellissima! È una serie con un’idea molto interessante: hanno preso la trama della soap opera con tutti i cliché e l’hanno girata con la qualità delle serie Netflix, per cui girata bene, con bravi attori. Però con una trama da soap opera, quindi anche con inserti molto trash. E parallela alla trama principale c’è una serie in cui recita uno dei personaggi di Jane the virgin che è Stanis Larochelle: è lui ma spagnolo! Ovviamente è una serie leggerissima che guardo per annullare il cervello. Però sai, non si può essere persone colte tutto il giorno (ammicca). La guardo con la fidanzata.

Ecco, dalla soap al gossip: Manfredi Rizza, bello, bravo – e soprattutto fidanzato.

Sono ancora fidanzato, ora anche convivente. Quindi si fa sul serio.

Ti piace sempre cucinare?

Sì!

E quanto ti piace invece la canoa, quanto la ami per fare quello che fai al di là degli obiettivi?

Io la amo così tanto che la odio! (ride) In realtà non ho una risposta a questa domanda…

E già questa è una risposta molto intelligente!

Comunque ti dirò, soprattutto quando sono molto stanco e quando non sembra che ci siano dei risultati concreti in quello che sto facendo (il che succede molto spesso!), mi capita spesso di guardarmi allo specchio e pensare: è proprio una bella vita quella che faccio, sono proprio contento di quello che sto facendo. Non so se sia quantificabile questa cosa. Tante volte ti viene voglia di mollare, però sinceramente io non riesco neanche a immaginarmela, una vita senza la canoa. Più che altro è che poi diventa quello che sei, per cui fa parte di te. È come amare se stessi. Potremmo dire che amo la canoa nella misura in cui riesco a fare quello che faccio e non mi viene voglia di smettere ogni tre minuti. Secondo me se io apro gli occhi la mattina, e mi faccio ‘sto sbatti che è la vita, e senza neanche un obiettivo diventa una roba un po’ noiosa. Così è molto più interessante. Anche se magari faccio qualcosa che agli occhi di qualcuno che vede la vita solo come studio, lavoro e basta, può sembrare una scelta un po’ folle. Per esempio quando mi fanno una domanda normale, una domanda ordinaria come chiedermi dove abito, rispondo che tecnicamente abito a Pavia, però di fatto se abitare significa dove stai per più tempo nell’anno allora abito all’hotel la Favorita di Mantova! (ride). Se uno ti fa una domanda normale, ordinaria (ammesso che esistano domande ordinarie) tu non hai una risposta ordinaria perché vivi una vita stra-ordinaria. Anche solo nel senso letterale del termine – perché poi se uno la va a vedere nei dettagli è anche piuttosto noiosa. Però a me piace.

C’è una canzone o qualcosa di simile che magari ascolti quando sei in allenamento, o anche in riposo, e ti piace ascoltare perché è quella cosa che quando ti viene in mente ti fa dire “Dai, dai, dai”? 

In realtà non ho musiche particolari per questo tipo di cose, anche perché in fatto di gusti sono uno molto eclettico. Più che altro quello che mi dà la voglia anche di andare avanti e magari fare quel passo in più durante l’allenamento o la gara è soffermarmi su quello che è stato il passato: riflettere sul fatto che quella poca distanza che mi è mancata per esempio nella finale del K1 200 metri a Duisburg per arrivare alla medaglia. Sono i “quasi” della carriera a fare le veci di una canzone. Mi basta ripensare a quei momenti lì per dire: “non voglio più sentirmi in difetto”. La cosa più traumatica è dover tornare a casa e dire “quasi”. Perché mi dà proprio un senso di incompiuto.

La cosa più traumatica e allo stesso tempo la più motivante, quindi?

Sì, perché ti dà la volontà di dire: “Io non voglio più dire quasi“. Voglio dire: “ce l’ho fatta!”. In realtà ho notato che tendo a non ascoltare musica né a guardare video. Ero in camera con Andrea [Diliberto, medaglia d’oro con Manfredi a Duisburg] che invece come tantissimi altri ascolta musica durante il riscaldamento e cose così. Io invece ho notato che preferisco non ascoltare musica durante le giornate precedenti alla gara. Preferisco per esempio, a seconda del momento, scaricarmi qualche app o qualche giochino stupido sul cellulare, oppure guardarmi una serie tv idiota che mi aiuta proprio a staccare il cervello, a non pensare a quella cosa lì nei momenti in cui non serve, così da essere più concentrato quando serve.

Siamo curiosissimi di conoscere i giochini stupidi che fanno vincere le medaglie a Manfredi Rizza.

Un giochino stupido a cui ho giocato l’anno scorso per esempio è “Stick War”… Mi sono consumato tutto il credito! Quest’anno mi sono buttato su giochi tipo puzzle, quelle cose sulle quali ti concentri e ti dimentichi tutto il resto. Mi aiuta a non pensare alla gara, alla situazione, perché anche solo pensarci ti stanca: se tu ascolti una canzone la sera prima, il cuore pompa, magari non dormi e il giorno dopo hai la gara. A te non serve quello, a te serve dormire, stare tranquillo e la concentrazione non viene dispersa. Oppure un altro giochino di quest’anno è “Ready Steady Bang”.

Appuntamento a?

L’appuntamento della stagione – per non dire quello del quadriennio – è Szeged, i Campionati del Mondo. E lì sarà dura! Noi ci proviamo!

Con la paraculata che si dice di solito, per cui “è importante il viaggio”. In realtà…

Be’, il viaggio è bello, però diciamo che se arrivi è anche meglio! Anche perché comunque il momento è giusto: se a Rio ero un po’ giovane, adesso è il momento perfetto. Finora ritengo di aver fatto le cose fatte bene, quindi sono convinto che arriverò al Mondiale al meglio delle mie possibilità. Speriamo che “il meglio delle mie possibilità” basti per qualificarsi, perché poi è sempre lì il problema, che se tu vai forte ma gli altri vanno più forte…

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Stefano Sfondrini
Radio per lavoro, ma non emetto sentenze. Bevo caffè senza zucchero perché ho capito che "amare significa poco dolci" [San Galli, protettore degli umoristi]

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