-PAVIA, dai nostri inviati alla Canottieri Ticino Pavia Marco Corradi, Simone Lo Giudice e Luca Tantillo

Manfredi 2

Nella nostra ultima intervista a Manfredi Rizza, la cui prima parte potete trovare qui, non abbiamo parlato solo di emozioni e sensazioni della prima volta alle Olimpiadi. Siamo scesi anche più nel tecnico, chiedendogli le sue sensazioni sia sulle sue gare che gli hanno regalato il 6° posto in finale, sia sulla Federazione Italiana Canoa e Kayak, per poi chiudere con un argomento che si era dimostrato assai spinoso già ai tempi della nostra prima intervista: il suo futuro.

Ecco dunque quello che Manfredi ci ha dichiarato direttamente alla sede della Canottieri Ticino Pavia.

Abbiamo citato prima la fantastica semifinale di Rio 2016: tu hai fatto una grande gara e, soprattutto, una grande partenza, sfatando il tuo tabù al via…

Era il mio grande difetto, e sia in batteria che in semifinale ho fatto buone partenze. In finale, tra l’altro, ho provato a fare un piccolo trucchetto, anticipando di qualche decimo il blocco e trovare quei decimi che mi avrebbero permesso di inseguire il podio: purtroppo è andata male, perché ho scheggiato il blocco ed ho perso qualcosina, probabilmente la possibilità di restare con gli altri e giocarmi le medaglie è svanita lì. Da un lato c’è la grande gioia ed emozione per questa Olimpiade, dall’altro il rammarico di sapere che, per quanto potevo fare la gara perfetta, non sarei mai stato all’altezza di coloro che sono saliti sul podio.

Era così tanto il divario tra te e gli altri atleti?

A mio modo di vedere, facendo la gara perfetta sarei arrivato 5°, perché ho battuto quell’atleta più volte (anche se lui mi ha battuto a sua volta): diciamo che 5° o 6°, in una gara in cui conta andare a medaglia, non cambia granchè… I big non sono tanto avanti, però è quel poco che dura un quadriennio: è un concetto difficile da esprimere a parole, è un po’ la differenza che c’è tra due bambini che giocano a calcio, uno è un fenomeno e l’altro no. Non c’è molto da fare, soprattutto in una distanza che si gioca sui centesimi ed ha visto parecchi parimerito tra Mondiali, Europei ed Olimpiadi. Questa gara richiede la massima concentrazione in un periodo di tempo limitato.

Parlando un po’ in generale dei risultati di queste Olimpiadi, ci vuoi dare un tuo giudizio sull’esperienza complessiva del canottaggio a Rio? Tu sei stato una delle sorprese, no?

In realtà ho scoperto dopo che venivo dato tra i possibili medagliati, e mi son chiesto “Ma conoscete le cose? Siete informati?”: è stato strano, chi segue con costanza la canoa sa come vanno le cose e quali sono le reali possibilità, mentre forse altri si sono fermati alla vittoria in Coppa del Mondo e ad alcuni risultati sporadici. Quella vittoria in CdM ha fuorviato gli animi, ma gli esperti sanno che Manfredi Rizza non era da medaglia, ed infatti so che la Rai era entusiasta del mio 6° posto: è stata molto apprezzata la leggerissima distanza dai primi, a differenza dei ragazzi dei 1000 che erano arrivati molto distanti. Ad un certo punto, come avrete visto, ero molto vicino ai primi, poi loro hanno preso il largo: sono stato anche “sfortunato” perché ho trovato la giornata senza il vento a favore, che speravo di avere dalla mia. Invece c’era un vento teso contrario ed è andata male: le condizioni non mi hanno aiutato, ma vanno messe in conto.

Cosa ci dici invece sulle condizioni dei campi-gara? Qui in Italia arrivavano voci preoccupanti riguardo alla manutenzione delle acque…

Come vi ho detto non ho mai dato peso a queste cose, e tra l’altro il campo-gara era stato spostato rispetto a quello che circolava nei giorni antecedenti a Rio 2016: poi ovvio, non era l’acqua più limpida del mondo e non l’avrei bevuta manco sotto tortura (ride), ma non è neanche il campo-gara più sporco della mia carriera. In Italia ho visto di peggio, e comunque considerate che quella è acqua salmastra, quindi puzza un pochino già di suo per questioni di chimica. Le piscine dei tuffi e del nuoto? Anche lì, il tutto va contestualizzato: il colore dell’acqua la faceva sembrare sporca, ma era dovuto al fatto che fossero piscine all’aperto, cosa che creava microalghe che si andavano a depositare. In quel caso, o le bombardi di cloro e rendi impossibile la vita a quegli atleti che devono andare in subacquea e rischiano di uscire con gli occhi gonfi e le bolle, oppure ti arrendi ad una cosa che è normale quando ci sono delle piscine all’aperto. Alla fine è sempre acqua, anche se si lascia dell’acqua proveniente dal miglior bacino del mondo al sole per ore diventa verde. In molti si sono lamentati, forse questa cosa può aver creato problemi ai tuffatori: so che si lamentavano di come fosse scivoloso il trampolino a causa delle alghe, posso capire che questo sia un grosso guaio per loro.

Quali sono stati i tuoi pensieri durante il giorno della semifinale?

Innanzitutto dovete considerare che la semifinale era lo stesso giorno della batteria, quindi, se non fossi passato, quello sarebbe stato il mio unico giorno di gara: detto ciò, come atteggiamento io cerco sempre di rimanere il più distaccato possibile dalla situazione-gara, perché altrimenti perdi in oggettività e capacità di gestirti. Cerco sempre di rimanere concentrato e caricarmi, ma devo ammettere che quando ho letto le batterie mi sono spaventato parecchio: ho realizzato che non ce n’era uno che potevo dire “Questo lo batto”, forse giusto uno o due, e tutti gli altri erano “Da panico”. Mi ricordo che ho parlato col ragazzo australiano, che ha fatto anche lui la finale, e mi ha detto: “Promettimi che se non passo la batteria sarai ancora mio amico”, perché comunque, in ogni competizione, uscire in batteria rappresenta un enorme disonore. Però era un’ipotesi concreta, visti i nomi, e così ci siamo fatti questa reciproca promessa in caso di fallimento: la batteria l’ho affrontata in maniera più blanda, perché comunque bisogna essere cinici ed andare al 100% solo se hai la certezza di vincere ed andare in finale bypassando la semi. Io non avevo questa possibilità, visto il livello complessivo, ed allora sono andato più sciolto: un’ora dopo, la semifinale è stata dura. Si gareggiava un’ora dopo, quindi non c’era neanche tempo per pensare ed ho cercato di chiudere gli occhi ed andare il più forte possibile. Ho avuto un attimo di panico iniziale perché mi son accorto di essere partito molto bene, e poi a metà gara ho avuto un piccolo qui pro quo con le onde, dato che me n’è entrata una in barca, una cosa che può succedere, ma che ti fa perdere del tempo. Ho temuto di aver perso lì quel piccolo vantaggio che ti fa andare in finale, però poi, quando ho visto il tabellone, il 2° posto ed il mio nome tra i finalisti, non ci ho visto più ed ero veramente supercontento: un’emozione così non l’avevo mai avuta nella vita, è stato un misto tra soddisfazione e gratificazione per tutto il lavoro svolto e chi mi aveva aiutato ad arrivare fin lì. Ci tenevo davvero tanto ad arrivare dove sono arrivato, è stata veramente una liberazione ed ho pensato che la finale era la classica liberazione, e che potevo “Andarmene dal tavolo” e dire “Sono contento”. Questa sensazione è durata pochi minuti, perché poi mi son detto “Sì, ma la finale va fatta al meglio”, anche perché era il giorno dopo e non dovevo neanche fare allenamenti particolari: ero emozionato, da un lato non vedevo l’ora che arrivasse, dall’altro volevo congelare quell’istante affinchè non passasse mai.

E, appunto, sulla finale cosa ci puoi dire?

In finale mi veniva da ridere per la gioia, però ho cercato di darmi un tono perché c’era la TV, ed ho cercato di rimanere serio: tra le cose che mi hanno stupito c’è stato il dormire bene la sera prima della gara, una cosa che spesso è il preludio ad una buonissima prestazione. Mi è piaciuto anche il clima intorno a me, ho ricevuto maree di messaggi ed incitamenti, anche da gente che non conoscevo (chi più molesto e chi meno), o da persone che mi hanno scritto anche se avevamo totalmente perso i contatti da anni. Questo è stato molto piacevole, ma anche molto duro, perché ho passato oltre due ore al telefono a scrivere, ed ero completamente distrutto: era il momento in cui cercavo di farmi scendere l’adrenalina, e ad ogni messaggio invece ottenevo l’effetto contrario (ride): però mi sembrava giusto rispondere a tutti, quelle persone avevano dedicato un po’ di tempo a me. La cosa che in un certo senso non mi è piaciuta è stata il fatto che sembravo l’unico non soddisfatto della semplice partecipazione alla finale: erano tutti troppo contenti, mi sarebbe piaciuto poterli strigliare per questa percezione secondo la quale non potevo fare niente di più. In realtà quelle frasi mi hanno messo di fronte ad una verità che volevo evitare, perché alla fine ho fatto poco di più, però ci tenevo a sfatare questa cosa. Questa, comunque, è l’unica nota negativa di una due giorni che è stata la migliore della vita, anche se ho accumulato tanto stress: la sera dopo la gara non ho dormito ed ho fatto una diretta Facebook con Tacchini in cui eravamo totalmente ammattiti, vi giuro che è stata la notte peggiore che abbia mai passato, avevo addosso un’adrenalina indescrivibile, e nessuno ci credeva a tutto questo. Tutti pensavano che non avessi dormito la notte prima, invece ho dormito 7 ore. La domenica invece ne ho dormite 2, mi sono addormentato scarpe ai piedi in serata e non ho neanche partecipato alla festa a Casa Francia: anche nei giorni successivi la discesa della tensione è stata assurda, ero totalmente scarico e non riuscivo a fare niente, infatti i campionati sono andati malissimo ed ero anche preoccupato perché temevo di aver preso qualche malattia. Non mi era mai successo di stare male una settimana intera.

A proposito del tifo e dei messaggi di incitamento, i ragazzi della Canottieri Ticino hanno tifato per te: è stato bello, no?

Mi hanno mandato una serie di video, è stato molto emozionante: ho avuto un sacco di seguito, più di quanto pensassi, mi è piaciuto anche il fatto che molti mi avessero detto “Mi è venuta voglia di fare canoa dopo aver visto la tua gara”, sono soddisfazioni enormi queste. Come lo è stata essere il primo a partecipare ai Giochi con la “maglia” della Canottieri Ticino: c’erano già stati altri atleti formati qui, ma poi si erano trasferiti a Sabaudia al centro federale per crescere.

Prima ci hai accennato a dei problemi della vostra Federazione e di alcuni canottieri che ne parlavano: puoi spiegarci brevemente in cosa consistono i problemi?

Principalmente, essendo uno sport piccolo, girano pochi soldi e quei pochi vengono raggruppati e mal gestiti. Oltre a questo ci sono discorsi legati alle elezioni ogni 4 anni: prima di Rio era periodo di campagna elettorale, e questo ha influenzato l’Olimpiade. Non voglio entrare nel dettaglio, ma Riccardo Cecchini e Michele Bertolini sono stati esclusi dall’Olimpiade per motivi “politici”: la motivazione ufficiale è stata che c’era una richiesta precisa dal CONI sul K4, la realtà è che il CONI non sa manco cosa sia un K4, e non si sognerebbe mai di fare una richiesta del genere. Di contro, c’erano ragioni elettorali che spiegherebbero quella scelta: purtroppo, come dice il buon Mario Pizzi, “I dirigenti giocano un altro sport che non è lo stesso degli atleti”, e dunque per atleti ad alto livello le dinamiche politiche non sono avulse dalla vita quotidiana. Questa cosa mi ha fatto riflettere e mi ha permesso di capire che certe persone non giocano necessariamente con te, a differenza di altre che non ti saresti mai aspettato: ero contentissimo della mia partecipazione in finale anche per questo. Spesso si parla di Fair Play e di grandi gesti che vengono strumentalizzati e sono “falsi” nella loro creazione davanti alle telecamere, mentre il vero gesto di Fair Play è quello che avviene a fari spenti, e lo dirò alla giornata del Fair Play, alla quale sono stato invitato: ad esempio, io sono stato l’aiutato dopo aver fatto richiesta alla Federazione di avere degli sparring partner per la preparazione olimpica. Gli atleti designati erano Riccardo Cecchini, Mauro Crenna ed Alessandro Gnecchi, che noi chiamiamo Aldo, poi Crenna è stato selezionato per i Giochi ed ha perso la seconda parte di preparazione: Aldo abita vicino a dove ci allenavamo, Riccardo invece ha avuto il suo bel da fare perché si è dovuto sorbire il raduno fuori casa, ed abbiamo avuto un momento critico quando ha scoperto che non sarebbe andato alle Olimpiadi. Lì si è indispettito (Michele Bertolini non c’era per gli Europei U23, ndr), ed in un primo momento ha avuto la reazione di andarsene e smettere: dopo un weekend a casa, però, ha deciso di tornare ed aiutarmi fino alla fine della preparazione unicamente perché gliel’avevo chiesto e mi aveva dato la sua parola. Questo è stato l’unico caso di vero Fair Play, totalmente disinteressato e genuino, perché non aveva nulla da guadagnare e sapeva che senza di lui non ce l’avrei mai fatta ad andare così a Rio. Una buona componente del mio risultato la devo a lui, poi anche Alessandro ha fatto il suo, ma il gesto di Ricky mi ha toccato il cuore e mi sento in debito con lui.

Cosa ci puoi dire sul tuo futuro? Durante la prima intervista avevi manifestato l’intenzione di mollare dopo i Giochi…

Innanzitutto dovrò finire l’università, perché i miei genitori hanno richiesto la mia presenza nel mondo del lavoro o la mia non presenza in casa (ride). A parte gli scherzi, vorrei finire tutto, e nel frattempo continuo ad allenarmi al meglio possibile: l’obiettivo sportivo sarebbe arrivare tra i primi 4-5 alle selezioni nazionali, possibilmente 4° o 5°. Così facendo rimarrei fuori dalle competizioni internazionali e non sarei convocabile, ma comunque nel giro della nazionale: se non vengo convocato non devo rifiutare le gare, in caso contrario sarebbe molto complicato dire di no alle gare perché mi conosco, e gareggiare fa parte della mia vita. Però mi sono reso conto che fare la specialistica non è facile, gli argomenti sono difficili e bisogna studiare tanto, dunque il mio impegno sarà totale in tal senso: anche perché “perderei” due anni, e poi potrei riprendere il filo di un discorso lasciato a metà nel 2018, e lavorare in ottica-Tokyo. Vi avevo detto che avrei smesso, ma non ne ho la forza e non riesco a rinunciare a qualcosa che è ormai parte integrante della mia vita: ci ho provato, ho creduto di potercela fare, ma “non è cosa”. Tra l’altro nella mia specialità si può andare avanti anche oltre i 30 anni e volendo avrei due quadrienni, ma mi fermerò dopo Tokyo perché ho fatto scelte che non mi permetteranno di arrivare a quell’età atleticamente valido, ed il mio fisico non reggerebbe: Tokyo 2020 è un’idea, mi piace ragionare a piccoli passi e questi ultimi due mesi sono stati una bella iniezione di realismo, perché ho capito che fare 8 ore di università a Milano e gli allenamenti non è facile come pensavo. Purtroppo la vita da pendolare e la gestione delle piccole cose, dai pasti ai tempi morti allo studio, sono molto complicati, insieme alla gestione di una vita privata/sociale (ride). Probabilmente finirò col fare solo l’allenamento mattutino, ma resta il fatto che questi due anni li vivrò con l’idea di mantenere uno stato di forma accettabile, anche se questo mi porterà a dimezzare i risultati: resta la fortuna di aver raggiunto un livello sufficientemente elevato da poter capire cosa mi succede e qual è la mia forma.

Chiudiamo con una nota di colore: come procede la tua sit-com K.A.Y.A.K dopo le Olimpiadi?

Beh, procede così così. Abbiamo pubblicato le prime due puntate della seconda stagione, e purtroppo non hanno avuto il successo sperato neanche tra di noi: abbiamo provato a cambiare format e sperimentare, ma ci siamo accorti che stiamo andando lontani dalla nostra idea. Sono successe anche altre cose, con uno di noi che è andato a lavorare in Libano complicando tutto: l’idea è di portarla avanti, però sta diventando complicato, perché le idee le abbiamo, ma sarebbe bellissimo se qualcuno decidesse di produrcela e consentirci di limitarci alla scrittura. A noi piace tantissimo girare, ma soprattutto scrivere, e se qualcuno riuscisse a produrci quello che è un prodotto di qualità, a mio modo di vedere, sarebbe bellissimo: serve però qualcuno che abbia conoscenze, perché KAYAK non è solo un prodotto di nicchia, ma una “nicchia che parla di nicchie”, quindi possiamo scriverla, ma se chi la mette in pratica non ha l’occhio giusto, non riesce a mettere in pratica ciò che scriviamo. Se riuscissimo mai a trovare qualcuno, sarebbe bello vedere come potrebbe rendere se realizzata da qualcuno di più professionale di noi, anche perché abbiamo idee innovative o di rivisitazione del classico che potrebbero rendere la serie molto molto interessante in futuro. Siamo i primi ad applicare quest’idea, ma non voglio anticiparvi nulla: l’idea che ci è venuta è di sveltire la trama raccontando le storie dei personaggi il più velocemente possibile ed approfondendo la loro psicologia (se mai ne hanno avuta una, ride) nel modo più rapido possibile, senza però diventare superficiali. Di contro, sveltiremo la trama dando una svolta, e qui mi fermo perché non voglio fare spoiler. Spero di riuscire a girare, stiamo anche cercando di semplificare la regia, perché ci siamo resi conto che più diventavamo bravi, più le cose che volevamo fare erano difficili da girare anche per esigenze nostre o degli attori: credo che quest’idea sia la svolta, e quando la vedrete, voi letterati (rivolto agli intervistatori) impazzirete. Dalla terza puntata partirà un tronco che si diramerà nelle altre: mi piacerebbe parlarvene, ma è un’idea al momento. Si è parlato anche di un possibile taglio alla serie per aprire qualcosa di nuovo, sempre legato a KAYAK, ma distaccato, con altri attori ed altre cose: d’altronde i nostri ragazzi hanno iniziato da 17enni ed ora fanno l’università.

mm
Giornalista in erba, sono un appassionato di sport, con un occhio di riguardo per il calcio (banale!) e la boxe.

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