Il nostro Manfredi Rizza in ritiro a Mantova per preparare la prossima prova di CdM. Abbiamo pensato bene di disturbarlo in pausa pranzo. 

Manfredi Rizza, 27 anni, in ritiro a Mantova presso i Canottieri Mincio (per gentile concessione dell’atleta)

Preparando questa intervista, da buon pignolo laureato in Lettere quale sono mio malgrado, mi sono ritrovato a impelagarmi in cose assolutamente secondarie come: si dice “Olimpiadi”, al plurale, o “Olimpiade?” Non ci sarà differenza, no? Curiosamente, il dubbio mi ha fatto scoprire una cosa che non sapevo: c’è differenza, eccome. Al plurale si parla dell’evento che si svolge ogni quattro anni, e grazie al quale ci ricordiamo di sport come tiro con l’arco, kayak e tiro al piccione vivo (scherzo, non c’è più dalle Olimpiadi di Parigi del 1900). Al singolare, invece, indica il periodo di tempo in cui ci dimentichiamo degli sport, tra una manifestazione olimpica e quella successiva, periodo che termina proprio con la celebrazione dei Giochi. Certo vincere una medaglia d’oro è importante, ma l’Olimpiade è ancora più importante: è qui che le medaglie vengono forgiate nella mente dei singoli atleti, allenamento dopo allenamento, sacrificio dopo sacrificio. La gara è il momento finale di questa forgia, quando le medaglie passano dalla fucina al collo degli atleti.

Il nostro atleta preferito, Manfredi Rizza, sa sicuramente la differenza tra “Olimpiade” e “Olimpiadi”, vero?

“Sarà singolare/plurale la differenza? (ride) Ti giuro che non ne ho assolutamente idea”.

Be’, lo sport è bello anche perché insegna sempre delle lezioni, anche di grammatica. L’Olimpiade, per chi si fosse messo in collegamento soltanto adesso, è il periodo di quattro anni che si conclude con la celebrazione dei giochi, le Olimpiadi.

“Quindi io adesso sono nell’Olimpiade, ma non alle Olimpiadi”.

A quelle ci arriviamo tra due anni. Ci arriviamo, vero?

“Ci arriviamo, ci arriviamo!”

Dove sei e cosa stai preparando ora?

“Sono a Mantova, ospite della Canottieri Mincio. Stiamo preparando la stagione. Quest’anno è abbastanza fitta”.

Per quali gare dovremo lanciare l’hashtag #DAIDAIDAI?

“La prima gara a Duisburg il 25 maggio, prova di Coppa del Mondo. Per noi italiani quella gara sarà una sorta di selezione interna. Ci presenteremo con due equipaggi, due K4, in uno dei quali sarò presente io. Il K4 che otterrà il piazzamento migliore andrà poi a fare l’Europeo che è il 10 giugno. Poi ci saranno i Giochi del Mediterraneo, dove tornerò a fare il mio amato K1 200, anche se non lo sto preparando tanto…”

Sei più concentrato sul K4?

“Sì, perché la direzione vuole mettere l’accento più su quello. In termini di qualifica, offre più posti contemporaneamente. Qualificando il K4 tu ottieni quattro “biglietti”, poi tu li puoi usare come vuoi, partecipando anche con due K2 (non è una cosa che viene fatta molto di frequente, ma c’è questa possibilità). E poi a fine agosto il Mondiale, che sarà la gara vera e propria, diciamo il “main event” della stagione”.

Sarà la porta di accesso a Tokyo 2020?

“Non ancora. Per ora si affilano le lame che verranno usate nel 2019, che sarà l’anno preolimpico in cui si qualificano le barche”.

Com’è la tua giornata?

“È un po’ la giornata di qualunque atleta. Mi sveglio, faccio colazione, poi mi alleno fino a pranzo. Poi ci sono un paio d’ore di riposo…”

Disturbate da interviste improbabili.

“Esatto! (ride) Di solito uso questo tempo per studiare. Poi si ricomincia, ed è subito sera – come Quasimodo. Non te l’aspettavi, eh?”

In effetti no. A proposito di cultura, nelle scorse interviste ci dicevi che avresti voluto portare avanti gli studi. Adesso sei alla magistrale. Riesci a portarla avanti insieme alla preparazione?

“Mancano gli ultimi cinque esami, poi ci sarà il grosso ostacolo della tesi che sarà un po’ un problema. Non ci ho ancora pensato, sinceramente, ma ci sarà tempo per farlo. Per ora ci si allena più che si può, meglio che si può”.

E così ti stai preparando (anche) per Tokyo 2020?

“Sì, ma niente di serio”. (ridiamo)

Ok, facciamo i seri.

“Ho fatto un anno di pausa dalle attività della nazionale, nel quale comunque ho continuato ad allenarmi, in maniera meno intensa ma mantenendomi in forma. Ora ho ricominciato a lavorare con la nazionale per riprendere un po’ il ritmo e la forma, anche un po’ la capacità di esprimersi e portarsi al limite, che è difficile mantenere quando non hai un obiettivo concreto come quello di una gara importante”.

E con un obiettivo così importante come le Olimpiadi.

“Be’, non mi sveglio tutte le mattine e dico: “minchia, devo fare le Olimpiadi”! Grazie a Dio ci sono obiettivi intermedi”.

Sulla tua pagina Wikipedia… Ah, sai di avere una pagina Wikipedia dedicata?

“Sì, me l’hanno detto”.

Ecco, sulla tua pagina Wikipedia c’è scritto che sei soprannominato “Mampe” ma c’è scritto anche “senza fonte”. Vogliamo dare finalmente una fonte a questo dato di fatto? Di chi è la paternità del soprannome?

“Io credo sia di mio padre, come tutti i soprannomi dovuti dalle storpiature che i bimbi fanno con i propri nomi che poi i genitori affibbiano ai figli. Diciamo che quello che l’ha sdoganato è mio papà”.

Che poi è quello che ti ha fatto venire e ha fatto crescere in te la passione per il kayak.

“Sì, è quello che per la prima volta mi ha messo su una canoa illudendomi che fosse un bello sport, allegro e gioioso, e invece poi era tutt’altro”.

È più sconosciuto il kayak o il tiro con l’arco?

“Io credo il kayak. Il problema della canoa non è che non è conosciuta, è che viene associata alle cose sbagliate. Prendi dieci persone e chiedi: dimmi la prima cosa che ti viene in mente se ti dico “canoa”.

galeazzi smaila kayak

Il K4 di Giampiero Galeazzi e Umberto Smaila

Sette su dieci ti fanno il gesto del canottaggio, le altre tre si immaginano la canoa che si affitta al mare. Non è percepito come uno sport. Mentre per il tiro con l’arco comunque uno ci si vede a tirare con l’arco e a sbagliare, mentre c’è il fenomeno che tira tutti i centri. Anche con Robin Hood, per dire, c’è un immaginario dietro.

Nella canoa invece tu ti immagini Giampiero Galeazzi e Umberto Smaila in canoa al mare.

“Esatto, non ti immagini un cristo di 90 kg che spinge come un disperato. Ti immagini Galeazzi e Smaila”.

Una domanda da un nostro lettore. Renato da Fiano Romano ci chiede se hai deciso di lasciare la tua web serie K.A.Y.A.K. e, nel caso confermassi, se la tua decisione è dovuta al fatto che ormai la ristorazione è l’unica cosa seria rimasta in Italia. Confermi?

“Confermo in pieno questa tesi. Con K.A.Y.A.K. siamo fermi, un po’ per mancanza di attori, un po’ per mancanza di tempo. C’è la volontà da parte nostra di creare dei contenuti, il problema è che per fare qualcosa fatta bene bisogna dedicare del tempo e purtroppo cazzeggiare è un bellissimo passatempo ma frutta molto poco. Ci troviamo un po’ in difficoltà in quello, c’è quel passaggio post-adolescenziale in cui tu ti diverti un casino, però di base poi devi mangiare e i tuoi genitori a trent’anni non vogliono più mantenerti. Il grosso problema è quello”.

Cosa ti piace preparare di più?

“A me piacciono tantissimo gli impastati: pane, pizza, pasta fatta in casa. Quel genere lì un po’ del sud, vado un po’ a rispolverare le mie antiche tradizioni. A me piace cucinare perché mi rilassa, mi piace mangiar bene”.

Nonostante una laurea in Ingegneria, la partecipazione a Rio 2016 e diverse medaglie in CdM, ti confermi il ragazzo normale di sempre. Lo dimostra il fatto che, anziché mandarci giustamente a quel paese per averti rotto gli zebedei con questa intervista durante una pausa pranzo nel tuo ritiro a Mantova, hai deciso di rispondere. Grazie.

“Prego! È stato un piacere sentirvi, anzi”.

 

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Stefano Sfondrini
Radio per lavoro, ma non emetto sentenze. Bevo caffè senza zucchero perché ho capito che "amare significa poco dolci" [San Galli, protettore degli umoristi]

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