MILANO, dai nostri inviati alla Gazzetta dello Sport Marco Corradi, Luca Lovelli, Federico Mariani e Federico Sanzovo

I nostri inviati insieme a Riccardo Crivelli, giornalista de ''La Gazzetta dello Sport''
I nostri inviati insieme a Riccardo Crivelli, giornalista de “La Gazzetta dello Sport”

L’avevamo intervistato agli albori della storia di Azzurri di Gloria (che nella giornata di ieri ha festeggiato il suo primo anno), ed è ormai un amico della nostra redazione: per la seconda volta nel nostro percorso, che ci ha visto lavorare duramente durante Rio 2016, siamo andati ad intervistare Riccardo Crivelli presso la redazione della Gazzetta dello Sport, discutendo di tutte le tematiche del post-Olimpiade e dei risultati dell’Italia, che ha ottenuto 28 medaglie superando le attese. Abbiamo scelto di dividere l’intervista con Riccardo, inviato per la Rosea ai Giochi brasiliani, in due parti: nella prima leggerete il giudizio di Riccardo sulle Olimpiadi brasiliane, sull’organizzazione e sulle imprese che l’hanno maggiormente colpito durante la rassegna a cinque cerchi (oltre che sugli imminenti Mondiali di nuoto in vasca corta), nella seconda (online nel pomeriggio) invece troverà spazio il suo giudizio sulla spedizione dell’Italia. Ecco dunque le dichiarazioni di Riccardo Crivelli ai microfoni di Azzurri di Gloria.

Ciao Riccardo: tu sei stato inviato della Gazzetta dello Sport ai Giochi di Rio 2016, cosa puoi dirci di quest’esperienza? Alla vigilia c’erano state parecchie polemiche riguardo all’organizzazione carente, allo stato degli alloggi del Villaggio Olimpico, e poi c’è stato qualche problema anche durante le Olimpiadi…

”Allora, le polemiche si accompagnano alle cose positive: io devo dire che dal punto di vista organizzativo, ovviamente, per l’esperienza personale fatta a Pechino e Londra, il Brasile non ha raggiunto quei vertici, però non possiamo neanche dire che siano stati Giochi organizzati male. Dal punto di vista degli impianti l’Olimpiade è stata organizzata bene, poi certo, c’è un problema endemico sui trasporti che però affligge Rio de Janeiro anche nella quotidianità e che è peggio anche di quello di Pechino 2008: lì quantomeno avevano costruito delle corsie preferenziali per andare al Parco Olimpico, a Rio invece se dovevi muoverti ed andare verso il centro c’erano dei giorni in cui un viaggio poteva diventare un’odissea. Hanno cercato di fare il massimo, ma anche per la conformazione della città, che vedeva il Parco Olimpico molto distante da Ipanema e Copacabana, a circa un’ora dal centro città, ci sono stati molti problemi. I trasporti dunque sono stati un problema per qualche giorno, mentre la sicurezza ha avuto alcuni passaggi a vuoto, con l’assalto ad una navetta dei giornalisti che era legato più che altro alla vendetta verso gli organizzatori, che ad un tentativo di rapina: diciamo che, stando dentro le Olimpiadi, non abbiamo visto quello che c’era dietro, ovvero una movimentazione di esercito e forze dell’ordine fuori dalla media. Hanno fatto un buon lavoro, c’è stato qualche episodio migliorabile, ma in generale è stata un’Olimpiade che merita la promozione, soprattutto considerando i presupposti da cui era partita”.

Ed anche un’agitazione popolare molto forte, ci ricordiamo gli episodi degli ultimi giorni, e quelle proteste durante la maratona…

”Diciamo che, analizzando il problema alla radice, il Brasile ottenne i Giochi nel 2009, quando era un Paese emergente e si pensava che potessero diventare una delle realtà trascinatrici degli anni a venire: non è accaduto, ed è chiaro che i soldi (molti soldi) investiti per l’Olimpiade potessero essere usati in un altro modo e meglio, questa è la critica mossa agli organizzatori. Abbiamo vissuto la stessa situazione con Roma e stiamo vedendo anche a Tokyo come sia facile veder lievitare i costi. Se devo sottolineare un aspetto negativo che mi ha colpito, dico questo: l’Olimpiade è stata vista da gran parte della popolazione di Rio come un evento che aggravava i problemi della città, e dunque fuori dai palazzetti non si respirava grande aria olimpica. Nelle poche occasioni in cui mi è capitato di andare in centro a seguire il beach volley o il canottaggio, se camminavi per la strada, non ti rendevi quasi conto che ci fosse l’Olimpiade: la gente ha continuato a vivere la propria vita, non c’erano bandiere esposte o un favoloso orgoglio nazionale/d’appartenenza da mostrare al tifoso. Il punto di vista negativo su Rio è questo: è stata un’Olimpiade non partecipata: un paradosso per il Brasile, però se ricordate c’erano stati problemi anche coi Mondiali di calcio per lo stesso motivo, ovvero quella crisi economica che ha acceso la protesta e le polemiche nella nazione contro lo stesso evento”.

A Londra il clima era ben diverso tra gli abitanti, anche semplicemente passando per la strada…

”Assolutamente sì: bisognerebbe avere la forza o l’intraprendenza giornalistica di tornare a Rio tra 1-2 anni e capire quale lascito ha lasciato l’Olimpiade sulle infrastrutture. A Londra l’Olimpiade costò più del previsto, ci furono anche tagli al budget, però i londinesi si trovarono con nuove linee di trasporti di superficie o della metropolitana ed impianti risistemati, e quindi il lascito dei Giochi era stato positivo, e i londinesi, pur riconoscendo che i Giochi sono costati troppo, si ritrovano con miglioramenti nella loro vita quotidiana. Non so se questo potrà accadere in Brasile, ed anzi credo di no, e quindi l’Olimpiade verrà considerata negativa”.

Vedendo il lascito positivo di Londra e le tue considerazioni su Rio, Roma 2024 è stata la classica occasione persa? Oppure, vedendo la situazione economica e politica attuale, andava presa quella decisione?

”Io credo che sia stata un’occasione persa, e mi ribello all’idea che in Italia non si possano organizzare eventi di quel genere perché rubiamo. Se partiamo da questo presupposto, che ogni evento comporta delle ruberie, tutto resta fermo, e quindi è stata un’occasione persa per rinnovare l’impiantistica della città e del paese, per avere un momento d’aggregazione come le Olimpiadi e per altri motivi. Ero per il sì da sportivo e perché avrei voluto vedere le Olimpiadi a casa mia, ma posso anche capire chi ha portato le ragioni del no: c’è stata strumentalizzazione da entrambe le parti, però secondo me il punto focale non è la questione dei costi, ma partire dal presupposto che l’Italia si sottrarrà all’organizzazione dei grandi eventi per il rischio che ci metta le mani il malaffare. Purtroppo è andata così, e credo che le Olimpiadi rimarranno una chimera per noi per un bel po’ di tempo. Sicuramente, comunque, c’è una riflessione da fare sull’olimpismo in generale, della quale ha preso coscienza anche il CIO con qualche ritardo: organizzare un’Olimpiade prima era un onore, un orgoglio ed una spinta per le energie produttive del Paese, mentre ora sta diventando un costo troppo elevato, e lo vediamo nelle Olimpiadi invernali, che vengono ormai organizzate in paesi senza tradizione. Penso alla Cina del 2022 o alle candidature per il futuro, che non provengono più dalla Francia, dalla Svizzera o dai paesi scandinavi, ma da paesi come la Russia, il Kazakistan e la Corea che poco hanno a che fare con gli sport invernali ed hanno solo disponibilità finanziarie importanti. Faccio un esempio recentissimo e che poco ha a che fare con le Olimpiadi: ma quanta tristezza ha fatto vedere il Mondiale di ciclismo in Qatar, dove c’erano quattro gatti e forse neanche interessati alla gara? Questo è un simbolo della crisi economica del CIO e delle federazioni, che nasce anche perché nei periodi di ‘’vacche grasse’’ si è dato adito ad un organizzazione elefantiaca con troppi sport e troppe voci da soddisfare, dalla quale non si potrà tornare indietro”.

Collegandoci alla questione degli sport, a Tokyo se ne aggiungeranno altri 5: che idea ti sei fatto di queste nuove discipline (arrampicata sportiva, skateboard, surf, karate ed il ritorno di baseball/softball)?

”Come sapete, il paese ospitante propone sempre delle discipline che sono nella propria cultura sportiva, in questo caso il karate ed il baseball: l’introduzione del karate, facendo un discorso nazionalistico, è un bene per noi, dato che siamo una potenza mondiale, mentre il baseball è uno degli sport nazionali del Giappone e dell’Asia. Il problema, comunque, non sono gli sport aggiunti, ma quelli che non si tolgono: ci sono sport che non dovrebbero essere olimpici, e questo contribuisce a svilire la qualità complessiva delle discipline. Se, facendo un discorso ipotetico, l’ingresso dell’arrampicata togliesse due specialità al nuoto o alla scherma, o due barche al canottaggio, riducendo così la potenza degli sport che ci sono dal 1896, questo finirà col ridurre la qualità generale e la tradizione: rientra tutto in un discorso di business e voti da guadagnare quando ci si candiderà alla presidenza del CIO, ma arriveremo al punto in cui dovremo tagliare gli sport, anche perché a furia di aggiungere si arriverà ad un limite da non superare. Sinceramente, anche il calcio olimpico ha poco senso e forse anche il tennis: abbiamo avuto un torneo straordinario, ma pochissimi si ricorderanno la stagione di Murray per il suo secondo titolo olimpico. Il problema è che le Federazioni non accetterebbero un ruolo ridimensionato, però tutta questa riorganizzazione ed aggiunta continua degli sport andrebbe evitata a mio modo di vedere”.

Anche perché lasciano perplessi l’ingresso dello skateboard e la permanenza della BMX, quando poi, e facevamo questa riflessione nei giorni scorsi in redazione, restano fuori dalle Olimpiadi sport come il calcio a 5 o il beach soccer che hanno grande tradizione in Brasile e non solo…

”Purtroppo, oltre alla tradizione, e penso alla sollevazione popolare scoppiata quando si voleva togliere la lotta, che ha un grande valore sociale ed ha rappresentato tanto per l’olimpismo sin dai tempi degli antichi Greci, ora si pensa tantissimo ad inserire sport che portino audience tv e passione dei giovani. Se questo però va a scapito della tradizione, non mi trova favorevole: capisco che ci siano scelte tv o di marketing, però ci troviamo con sport che vanno contro allo spirito olimpico…”.

Passando alle gare, quali imprese ti hanno maggiormente emozionato a Rio? Te ne chiedo una italiana ed una straniera…

”Per quel che riguarda l’impresa italiana, sarebbe facile dire Paltrinieri, sia perché era una medaglia attesa nella gara più difficile del nuoto, che per la valenza sportiva fortissima che ha avuto quell’oro, che arriva da uno sport universale, che insieme all’atletica rappresenta la disciplina principe dei Giochi. Se devo scegliere l’impresa che mi ha maggiormente colpito ed emozionato, però, scelgo Basile per la sua storia personale e per l’impresa di un ragazzo che 100 giorni prima di Rio non era neanche qualificato, ha impiegato solo tre tornei per strappare la carta olimpica e quel giorno ha dato l’impressione di esser lì per vincere la medaglia d’oro in ogni combattimento. Si vedeva che era in una grandissima giornata, anche se il judo è uno sport imprevedibile e può succedere di tutto, però dava l’impressione di essere lì per costruire qualcosa di eccezionale: ha vinto con una serie incredibile di ippon, e per il suo carattere genuino e spontaneo può diventare uno dei grandi sui quali ricostruire lo sport italiano. Per quanto riguarda l’impresa straniera, e lo dico con grande affetto, perché secondo me lui è stato il più grande sportivo di sempre, dico tutte le medaglie di Phelps: l’emozione più grande non è rappresentata dalle gare, ma dall’ultima conferenza stampa, con la sala stampa gremita di persone che volevano sentire le ultime dichiarazioni di quello che è sicuramente tra i migliori tre sportivi della storia. Tutti percepivamo di essere di fronte ad un atleta che stava per ritirarsi”.

Il bello dell’ultima Olimpiade di Phelps è stato il modo in cui ha vissuto le gare, con la consapevolezza che sarebbero state le ultime in ogni disciplina: lacrime sul podio, esultanze smodate ecc. Totalmente diverso dal Cannibale che ricordavamo…

”Phelps sapeva di non essere più quello di prima, e di saper gestire le sconfitte. L’ha detto lui stesso di essere migliorato in questo aspetto e di saper ”apprezzare le vittorie e imparare alle sconfitte”. Faccio il paragone tra lui e la Hosszu: l’ungherese ha lasciato l’Olimpiade con una sconfitta e con un brutto ricordo, Phelps ha avuto la forza e la bravura di lasciare i Giochi con un altro oro. Phelps, da solo, è 35° per ori nel medagliere di tutti i tempi dell’Olimpiade davanti a paesi come l’Argentina e il Cile che hanno una tradizione sportiva importante: è uno sportivo fantastico, incredibile”.

Chiudiamo con una domanda d’attualità, dato che stavamo parlando di Phelps e di nuoto: a breve ci saranno i Mondiali in vasca corta: come può andare l’Italia?

”Sì, inizieranno il 6 dicembre. Ho visto che sono stati usati criteri più stringenti di qualificazione, dunque portiamo atleti più competitivi dal punto di vista cronometrico: la vasca corta è sempre una brutta bestia per gli italiani, perché richiede doti e qualità che non coltiviamo abbastanza, penso ad esempio al tuffo o alla virata, ma credo che Paltrinieri vada per vincere e che la Pellegrini sia abbastanza carica e convinta di poter recitare un ruolo da protagonista. Speriamo di portare a casa qualche medaglia con loro e con Detti, che è in forma e vive ancora sulle ali dell’entusiasmo di Rio 2016: le nostre punte sono sempre loro, vinceremo qualche medaglia, anche se i Mondiali 2017 saranno più indicativi per capire se ci sono nomi sui quali puntare per le finali olimpiche di Tokyo e per il prossimo quadriennio. La Pellegrini in gara nel dorso? Disputa quella gara a mò di divertimento e variazione sul percorso: nel 2013 aveva anche pensato di fare solo quella ai Mondiali, salvo poi tornare sui 200sl e arrivare terza, perché i 200 Federica li fa d’abitudine ed ha degli automatismi talmente consolidati che, se è in condizione mentale e psicofisica, è sempre da medaglia, e l’ha dimostrato anche a Rio, nonostante il tracollo in finale. Scozzoli? È tornato ad allenarsi in Italia dopo qualche peregrinazione europea: a Viareggio è tornato a fare tempi di buon livello in vasca corta, è lontano dai vertici che aveva raggiunto qualche anno fa, ma è in buona condizione psicofisica e può tornare a dire la sua. Certo, gli anni passano ed il suo periodo migliore è alle spalle, però, proprio perché la vasca corta è una gara molto particolare, nella quale si curano molto i dettagli, e lui è il miglior interprete italiano nella vasca corta, potrà ancora ottenere risultati di prestigio, anche se la rana, coi successi di Peaty, ha avuto un bel salto avanti nel tempo”.

Si chiude qui la prima parte della nostra intervista a Riccardo Crivelli: appuntamento nel pomeriggio con la seconda parte, nella quale Riccardo ha analizzato con noi i risultati dell’Italia e dato il suo giudizio sulla spedizione azzurra.

Marco Corradi
31 anni, un tesserino da pubblicista e una laurea specialistica in Lettere Moderne. Il calcio è la mia malattia, gli altri sport una passione che ho deciso di coltivare diventando uno degli Azzurri di Gloria. Collaboro con AlaNews e l'Interista

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