Da oggi inizia #FuoriCinema: bimensilmente, al venerdì, su «Azzurri di Gloria» on-line, scopriamo lo Sport e le sue storie, attraverso il Cinema, con articoli d’approfondimento, consigli e recensioni sui migliori sports movies.

GLORY ROAD (2006), DI JAMES GARTNER

Prodotto principalmente dalla Walt Disney Pictures, e distribuito in esclusiva sul mercato home-video, Glory road (2006) – diffuso dalle emittenti televisive italiane a partire dal 2012, col titolo Vincere cambia tutto – costituisce il debutto alla regia dello statunitense James Gartner, e, ad oggi, resta il suo unico film, oltre alla produzione del corto The last leaf  (1983). È vero, non si parla certo di un film per il cosiddetto “grande schermo”, e nemmeno di una pellicola che lascerà un’impronta nella storia del Cinema, o nella memoria di un cinefilo; tuttavia, Glory road è un film potente, d’impatto, nobile, d’emozione (armonizzato dall’ottima colonna sonora composta dal sudafricano Trevor Rabin, anche membro degli Yes, la storica rock-band  inglese).

Basata sull’omonimo best-seller (2005) biografico di Don Haskins e Daniel Wetzel, la pellicola racconta in poco meno di due ore le reali vicende di un non ancora quarantenne Don Haskins (interpretato da Josh Lucas), un coach di Basket che si ritrova ad allenare la squadra maschile di Pallacanestro del Texas Western College, ad El Paso, i Texas Western Miners. Sono gli Anni ’60, uno dei periodi più bui per la società civile americana – soprattutto in Stati come il Texas –, divisa e dilaniata da razzismo, tensioni e scontri. Erano gli anni di Martin Luther King (assassinato nel 1968), dei Civil (1964) e Voting (1965) Rights Acts. Questo il contesto. Nonostante le avversità ed i pochi fondi a disposizione, il lungimirante allenatore mostra il coraggio di guardare oltre, reclutando una squadra “mista” (davvero un’eccezione per i tempi) per competere nel N.C.A.A., il campionato nazionale statunitense universitario (o “collegiale”) di Basket. Questa squadra “inusuale”, composta per buona parte da giocatori di colore – fra cui, ad esempio, il futuro N.B.A. player  David “Big Daddy D” Lattin –, contro ogni aspettativa, vince una partita dietro l’altra, innovando ed apportando al gioco della pallacanestro americano uno stile nuovo, dinamico, spettacolarizzato, maturato dall’esperienza del “Basket di strada” di molti giocatori afroamericani. La squadra dell’Università del Texas infrange e rivoluziona i canoni statici della Pallacanestro del tempo, ponendo le basi per il Basket a cui ora siamo abituati.

LA FINALE DEL ’66: NON SOLO UNA PARTITA

Come quelle poche storie che conquistano il meritato lieto fine, dopo una regular season da record (23 – 1), nella finale di campionato del 1966, i Texas Western Miners – schierando, come rivalsa socio-culturale, un quintetto di soli giocatori di colore – hanno la meglio sulla favoritissima squadra dell’Università del Kentucky (72 – 65), allenata dal leggendario quattro volte campione N.C.A.A. Adolph Rupp (interpretato da Jon Voight). Una finale in cui in gioco non v’era semplicemente una coppa, bensì un messaggio più alto, più importante, quello umano, storico, etico, sociale e culturale; ed il film di James Gartner s’è mostrato in grado di trasmetterne il valore.

Una storia di Sport che, come tante altre, si rivela esser molto di più, molto più delle singole persone che ne sono protagoniste. La pellicola difatti vince, nella categoria miglior film sugli sport, l’E.S.P.Y. Award, e viene candidata all’Humanitas Prize. Oggi, l’ormai quasi ottantenne Don Haskins, dal 1997, è inserito nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, mentre i suoi Texas Western Miners del 1966 figurano, come squadra, nella Basketball Hall of Fame.

La rubrica inizia in sordina, forse, ma con una storia, un film, che di certo val la pena ricordare (o scoprire). Al prossimo venerdì!

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