Atletica Stefano Mei: abbiamo intervistato l’ex atleta campione europeo sui 10.000 metri a Stoccarda 1986 in occasione della sua candidatura alla presidenza della Fidal per le elezioni 2021.

Stefano Mei (foto stefanomei.it)

ATLETICA STEFANO MEI: “INVESTIRE SU FORMAZIONE E SOCIETÀ DEL TERRITORIO PER TORNARE AI FASTI DI UN TEMPO”

La Fidal – Federazione Italiana Di Atletica Leggera è pronta per eleggere il suo nuovo presidente alla fine di gennaio 2021 e, in occasione dell’avvicinamento di questo importante appuntamento, abbiamo intervistato Stefano Mei, uno dei candidati.

Classe 1963, con un ottimo passato da atleta, coronato dall’oro europeo conquistato nel 1986 a Stoccarda sui 10.000 metri, dal 1996 continua il suo impegno nell’atletica come dirigente.

Interpellato sul motivo della sua candidatura, Mei risponde che “4 anni fa ho perso onorevolmente, ottenendo il 40% delle preferenze quando nessuno credeva a un possibile risultato così positivo. Se in soli due mesi io e la mia squadra siamo riusciti a convincere così tante persone, perché non riprovarci in modo più strutturato? Ho molte idee e varie esperienze per cercare di far risorgere l’atletica. La mia vita è stata quasi interamente dedicata a questo sport: dai 13 anni fino ai 33 sono stato un atleta, in seguito sono passato a essere un dirigente. Voglio mettermi al servizio dell’atletica per farla tornare ai fasti di un tempo.”

Uno dei punti focali del programma è la valorizzazione del territorio: “è necessario investire su società, tecnici e atleti. Le risorse ci sono: il bilancio federale del 2019 era di circa 29 milioni e mezzo di euro. Una cifra imponente che dovrebbe essere sfruttata al meglio, per esempio eliminando voci di bilancio inutili, come alcuni viaggi e collaborazioni, riducendone la spesa per destinare le risorse al territorio. Altre situazioni possono essere riviste, portando risparmio e una visione espansionistica di ricerca. Le società devono essere professionalizzate in certi aspetti, soprattutto per agevolarne il percorso con dirigenti maggiormente preparati. Oggi è tutto basato sul volontariato puro, ma ci sono anche oneri per i dirigenti di società, obblighi amministrativi e burocratici che devono essere affrontati in modo puntuale, ai nostri tempi non basta più solo la buona volontà. Bisogna dare le giuste armi per agire nel terzo millennio, per gestire la situazione nel modo più redditizio. Le società migliorerebbero anche sull’aspetto economico con più sostegno alla qualità. Lo sport è anche business, quindi è necessario supportare la formazione di tecnici e dirigenti, con premi per i risultati migliori. Per esempio, se una società riesce a preparare degli atleti che vengono convocati in Nazionale, otterrà un bonus, correlato alla categoria dell’atleta, che sia per esempio juniores o senior. L’atleta deve essere seguito nella totalità del suo percorso: da quando entra in società, si allena per competere e compete per vincere. Per fare questo bisogna aiutare tecnici e dirigenti, con interventi economici dal livello allievi/juniores in poi. L’obiettivo è elevare la media degli atleti italiani: avere 5/6 atleti top, che possono competere per medaglie importanti anche a livello internazionale, e 10/15 atleti da finale. A oggi è mancante un programma che punti a elevare il livello generale, non c’è una sequenza di atleti frutto di una programmazione puntuale e specifica, ma un inatteso arrivo di alcuni fenomeni, come Tortu, Crippa e Tamberi.”

La nascita e la crescita di nuovi atleti di livello è direttamente correlata al reclutamento di nuove forze: come è possibile far avvicinare sempre più giovani all’atletica? Stefano Mei pensa che “negli anni ‘70/’80 avveniva il reclutamento degli atleti nelle scuole, in concerto con il Ministero dell’Istruzione, che portò l’atletica a essere il primo sport praticato e seguito in Italia dopo il calcio. La scuola era direttamente coinvolta, con la pratica dell’educazione fisica anche al campo. I migliori talenti sportivi convergevano spesso verso l’atletica, anche grazie ai Giochi della Gioventù. A un certo punto si è interrotto questo dialogo con la scuola: è necessario riattivare il flusso con progetti pilota legati soprattutto alla scuola primaria e a quella secondaria, elementari e medie, instaurando un collegamento con le società sul territorio con un sistema consolidato di aiuto. Bisogna consegnare una sorta di patente di qualità e un minimo di risorse per proseguire nel lavoro sgravando i costi dei tecnici. Inoltre, si deve sfruttare il momento storico: l’atletica è uno sport che si esercita all’aperto, è individuale e senza contatto, si può praticare senza particolari rischi per la salute, di contagio, è un vantaggio da sfruttare nella situazione attuale. L’importante comunque per i giovani è fare sport, e l’atletica è ovviamente la scelta che maggiormente supportiamo.”

Riguardo all’agonismo italiano, Stefano Mei ribadisce che “i giovani ci sono, le punte ci sono, ma non basta. Mediamente deve esserci equilibrio, deve essere più omogenea la qualità dei risultati tra i primi e gli altri, dietro ai top c’è troppo gap. Atleti molto giovani, che sfoggiano ottime performance come junior, si perdono. Spesso perché viene richiesto un impegno maggiore per portata mentale e fisica, psicologicamente difficile. Per esempio, troppo presto alcuni giovani entrano in un gruppo sportivo militare, che è importante perché permette di concentrarsi sugli allenamenti, ma fa spostare i loro orizzonti. Devono confermare i risultati e hanno l’obbligo di raggiungere certi obiettivi, in questo modo cambiano le prospettive, la priorità va al riuscire a rimanere nel movimento, con la pressione psicologica che ne consegue. La precarietà del ruolo dell’atleta prevede poco tempo, nessun sostegno economico, difficoltà nel proseguire nel percorso di studi o di lavoro, e questo a volte porta a lasciare l’attività agonistica. È necessario aiutare queste situazioni, proponendo una strada alternativa ai giovani e permettere loro di fare delle scelte di vita in età più adulta. Si possono istituire convenzioni con i rettorati per privilegiare la figura dell’atleta studente e supportare gli atleti medi nel loro percorso universitario intervenendo sulla retta o creando situazioni da college americano dove possibile, dove sono presenti impianti di livello.”

Il movimento internazionale dell’atletica sta cambiando, con decisioni a volte discutibili da parte dei vari Comitati, legati più allo spettacolo televisivo piuttosto che alla nobiltà della prestazione sportiva: “l’atletica ha lo svantaggio di non poter cambiare troppo le sue regole, e viviamo i nostri tempi. È uno sport tradizionale, poco spettacolare rispetto magari alla breakdance, che verrà inserita nelle Olimpiadi di Parigi 2024, quando verrà eliminata una delle gare di tradizione soprattutto per l’Italia, la marcia 50km. Il cambiamento è dato dai tempi e bisogna adattarsi, è lo specchio del periodo storico.

Anche se quella del 2020 è stata un’annata difficile, una stagione falsata priva di obiettivi importanti, c’è stata comunque una serie di risultati fantastici, anche in Italia grazie a Crippa su tutti. I campionati italiani erano a rischio, ma alla fine sono stati fatti con buoni risultati. È sicuramente un anno particolare, di transizione. A Tokyo andremo con scelte fatte da altri, una decisione responsabile e etica, è giusto lavorare fino in fondo, fino a dopo le Olimpiadi. Non verranno fatti interventi prima, anche se le mie idee e del mio gruppo sono differenti sull’organizzazione, ma c’è ovviamente rispetto per un lavoro di 4 anni, sperando che arrivino risultati.”

Se verrà eletto, Stefano Mei si concentrerà in primis su “interventi svariati. Ci sarà la conferma dell’organigramma tecnico fino a settembre 2021 per le ragioni citate precedentemente, e questo ci darà più tempo per preparare al meglio i vari progetti. Una delle prime azioni necessarie è l’elezione del segretario generale, che manca: verrà proposta una rosa di nomi, sarà una scelta collegiale frutto di un attento esame dei candidati. È importante investire in formazione sui dipendenti della Federazione e condividere il progetto per fare grande l’atletica. I 120 dipendenti sono risorse umane su cui investire, deve essere un progetto condiviso. Al termine del percorso, l’atletica deve tornare a essere il secondo sport in Italia, dopo il calcio. Inoltre, si interverrà sui tecnici, ma la valutazione avverrà attraverso i vari curricula dopo le imminenti Olimpiadi, che si spera avverranno senza problemi. Il nostro è un programma concreto, un piano a lungo termine per 8 anni, con progetti anche a breve termine, per cercare di dare una struttura manageriale a tutto il movimento per affrontare il terzo millennio nel modo corretto.”

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Giornalista, onnivora di cultura a 360º. Lavoro nel campo dei media, in particolare nel mondo dell'informazione e social. Lo sport è una delle mie tante passioni, coltivata sul campo, sui libri e sullo schermo.

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