La regular season della NBA si è conclusa: è tempo di playoff. Ripercorriamo questa lunga stagione, con un occhio di riguardo alla stagione degli azzurri impiegati nella lega più competitiva al mondo.

Danilo Gallinari impegnato con la maglia dei Denver Nuggets (fonte: danilogallinari.it)

NBA: FINITA LA REGULAR SEASON, È TEMPO DI PLAYOFF

La NBA è da sempre la lega più divertente e allo stesso tempo più crudele tra quelle dello sport professionistico. Non solo perché a popolarla vi sono i giocatori più forti del mondo, ma soprattutto perché il formato non lascia spazio per recriminazione alcuna: ottantadue partite di regular season, e solo dopo, per le otto migliori d’ogni Conference, si inizia a fare sul serio.

Lo sanno bene i Denver Nuggets, 40-42 in stagione regolare, noni, ad un passo dall’ottava casella ad Ovest, quella valida per i playoff, occupata dai Portland Trail Blazers, 41-41 in regular season. Per l’ennesima stagione la squadra del Colorado, dunque, perde l’occasione di entrare in post season e di giocarsi un posto nella storia.

Vi saranno, invece, i Golden State Warriors di Steve Kerr (207-39 il roboante record nelle ultime tre stagioni regolari), reduci da due finali nelle ultime due stagioni (una vittoria e una sconfitta contro i Cleveland Cavs di “King” James), che dall’alto del loro primo posto affronteranno proprio Portland. Una serie che vede, da una parte, ancorché orfani di Kevin Durant, favoriti i Golden State Warriors di Steph Curry e compagni, ma che, d’altra parte, mette in guardia riguardo i Trail Blazers di Damian Lillard, che da un paio d’anni (dal trasferimento di Lamarcus Aldridge ai San Antonio Spurs) non vengono considerati “squadra da playoff”, finendo per smentire puntualmente ogni critico.

San Antonio Spurs, testa di serie numero due a Ovest, che saranno impegnati contro i Memphis Grizzlies. Per coach Pop, da un ventennio (di successi) in terra texana, arriva la prima post season senza Tim Duncan, ma con un Kawhi Leonard in continua crescita e una Spurs culture più granitica che mai (vedasi un Pau Gasol fuori dalla linea da tre punti e in campo dalla panca). Mentre per la squadra del Tennessee di coach David Fizdale (43-39 alla prima esperienza da head coach) peseranno sicuramente le assenza di Chandler Parsons e Tony Allen (quest’ultimo, animale da playoff se ce n’è uno), che riducono notevolmente le possibilità di Marc Gasol e compagni di passare il turno.

Spettacolo e anche una buona dose di rivalità è attesa poi tra Huston Rockets e Oklahoma City Thunder. Non solo perché ad affrontarsi ci saranno gli ex compagni a OKC, ora stelle delle rispettive quadre, James Harden e Russell Westbrook, i più papabili MVP di quest’anno (il primo, ora attento alle esigenze della squadra e dei compagni, rivitalizzato dalla cura targata Mike D’Antoni; il secondo, tripla doppia di media, inferocito dalla partenza di Kevin Durant); ma perché entrambe le squadre, soprattutto Huston (con il suo gioco unico, ulteriormente estremizzato da coach D’Antoni, fatto di triple e penetrazione, e di programmatiche spallucce verso il tiro dalla media), potrebbero mettere in difficoltà Spurs e Warriors, tra i favoriti per un posto in finale a Ovest.

Infine, Los Angeles Clippers contro Utah Jazz, serie che rischia di rimanere un po’ sotto traccia, ma che si prospetta invece come la più equilibrata. Da una parte i Clippers, probabilmente all’ultimo valzer (Doc Rivers in scadenza, un gran vociare riguardo il possibile “sacrificio” di Blake Griffin per tentare l’ultimo passo, un supporting cast che come Chris Paul vede la propria carta di identità sempre più impietosa, etc), all’ultima occasione utile per arrivare almeno alla finale di Conference; dall’altra i Jazz, franchigia tanto solida quanto lo è la loro difesa (quella di coach Quin Snyder è, numeri alla mano, la migliore della regular season), senza stella alcuna, ma con un sistema offensivo e difensivo in grado di raggranellare 50 vittorie in questa stagione.

Insieme a Denver, non accedono ai playoff neanche New Orleans Pelicans (nonostante la trade che ha portato in Louisiana DeMarcus Cousins), Dallas Mavericks, Sacramento Kings, Minnesota Timberwolves, Los Angeles Lakers e Phoenix Suns.

Il tabellone dei playoff NBA 2016/2017 (fonte: sportillustrated.com)

LO STRANO CASO DEL DOTTOR DENVER E MR NUGGETS

I Denver Nuggets, come già detto in precedenza, non saranno ai playoff, per l’ennesimo anno: l’ultima partecipazione è quella della stagione 2012-2013, mentre l’ultima serie di playoff vinta risale addirittura al 2009, ovvero all’era Carmelo Anthony. La squadra di coach Michael Malone pecca di costanza, dote fondamentale per una franchigia che aspira ad essere competitiva ad alto livello: il record di coach Malone, al secondo anno in Colorado, è sotto il 50%, 73-91, ma comprendere come vadano distribuite le responsabilità tra allenatore, giocatori, front office e, perché no, le altre ventinove squadre, è impresa più che ardua (soprattutto a qualche kilometro e un oceano di distanza).

Una cosa non gliela si può rimproverare: che non ci abbia provato. I Denver Nuggets di quest’anno sono stati, dalla prima partita, un immenso cantiere aperto. Kenneth Faried ha perso il posto in quintetto (dopo anni da titolare ed un possibile futuro volto della franchigia) in favore di Nikola Jokic, fine centro con stile da pallanuotista, esploso in questa stagione; Gary Harris ha sempre più avuto spazio, diventando un elemento fondamentale della squadra, mentre Jusuf Nurkic, “lungo” su cui s’era scommesso forte, tanto che in stagione era partito in quintetto ben ventinove volte in quarantacinque partite disputate, al contrario, è stato ceduto in corso d’opera; Emmanuel Mudiay, che da rookie lo scorso anno era stato impiegato sessantotto volte da titolare, quest’anno ha giocato molto meno, rimanendo a volte ai margini della rotazione. Inoltre, irrisolto, rimane ancora il problema della tenuta fisica di alcuni atleti: per una squadra ricca di buoni (anche buonissimi) giocatori, ma senza una stella, un roster con injury prone players non è affatto una buona notizia. E considerando che sulla compatibilità di alcuni giocatori rimangono ancora pesanti interrogativi, la situazione non pare essere delle migliori.

Denver è una franchigia ricca di qualità (il terzo attacco e il quarto offensive rate – misurazione più precisa dell’efficienza offensiva di una squadra che non la mera conta dei punti segnati – non mentono), ma l’ultimo scatto ancora manca (ad esempio, è la terzultima squadra per punti concessi agli avversari, la penultima per defensive rate). Da una parte perché, appunto, vincere senza stelle non è affatto semplice (e non sono superstar né Chandler, né Gallinari, né Jokic o Harris – per lo meno, non ancora –, né Faried o altri), dall’altra perché comprendere le potenzialità dei giocatori giovani non è affatto facile (prevedere matematicamente la crescita di Jokic, Harris, Mudiay, Murray, o di chiunque altro, non è tanto difficile, è piuttosto impossibile).

Se, dunque, la stagione dei Nuggets non è da considerarsi un totale fallimento (anzi, vi sono delle note più che positive), sembrano, all’interno della franchigia, permanere i medesimi problemi riscontrati negli anni precedenti, il che potrebbe essere, in un certo senso, in una lega dove la mediocrità non è inutile ma dannosa, quasi un passo indietro.

Gallinari e Jokic contendono un rimbalzo durante una partita contro gli Houston Rockets (fonte: zimbio.com)

UN AZZURRO A DENVER: LA STAGIONE DI DANILO GALLINARI

Questa per Danilo Gallinari, classe 1988, è la nona stagione in NBA. Danilo è uno dei, se non il principale (dopo questa stagione, con Jokic) giocatore franchigia. Alla sesta stagione in Colorado, è ormai parte integrante, portante della squadra ed i suoi 33.9 minuti di media conditi da 18.2 punti in sessantatré partite giocate sono lì a dimostrarlo. Per il numero 8 in maglia azzurra, tuttavia, i punti non sono mai stati un problema: entrato nella lega come specialista del tiro da tre punti, Gallinari ha saputo adattarsi al gioco e al suo fisico, cambiato nel corso delle stagioni (sotto il peso degli infortuni, che ovviamente non sono mancati nemmeno quest’anno, avendolo costretto fuori dal campo in ben diciannove occasioni). Da giocatore oltre l’arco, l’azzurro è ormai un attaccante completo: tiro dalla media e da tre, da spot up o in penetrazione, ma anche giocate a là “lo famo strano”; ed è uno dei migliori tiratori di liberi di tutta la NBA. L’unico difetto, appunto, sono difesa (ma, in ogni caso, si difende sempre in cinque; inoltre, Gallinari è assolutamente migliorato in questo fondamentale) e infortuni: quest’ultimo, il vero tallone d’Achille del Gallo.

Da questo punto di vista, i dilemmi, almeno per il front office del Colorado, sono molteplici. E lo sono stati anche in questa stagione, tanto che, più d’una volta, si è parlato dell’opportunità di una trade, di scambiare l’azzurro. La questione si fa ancor più grande, poi, considerando il roster della franchigia, che vede giocatori simili a Danilo (si veda, ad esempio, Wilson Chandler), dal punto di vista di alcune caratteristiche come da quello degli infortuni: se, come sembra, il problema di Denver è la continuità, una buona presenza di pedine propense all’infortunio può risultare deleterio. Così come per Danilo, giocatore con determinate caratteristiche, la continuità e l’essere in forma è più che necessaria.

Quello del Gallo potrebbe essere l’ultimo anno a Denver. L’italiano ha una player option (può scegliere se rimanere o meno nel contratto per un altro anno) da sedici milioni di dollari: dovesse uscirne, considerando il nuovo contratto collettivo, ed il suo status nella lega, potrebbe venir pagato molto bene, ben più dei sedici attuali; non dovesse, sarà free agent alla fine del prossimo anno. In ogni caso, la squadra che può, (complicatissimo) regolamento alla mano, offrirgli un contratto più remunerativo e da più anni è Denver, la sua franchigia attuale; ma l’azzurro potrebbe scegliere un’altra squadra, magari guadagnando un po’ meno, per cercare di vincere il tanto agognato titolo NBA.

L’estate di Gallinari si presenta dunque più rovente che mai, anche se, probabilmente, l’azzurro, e lui con noi, avrebbe preferito iniziare a pensarci dopo i playoff.

Danilo Gallinari nel photoshooting con la maglia azzurra (fonte: corrieretrentinoalpi)

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Niki Figus
Giornalista pubblicista. Naufrago del mare che sta tra il dire e il fare. Un libro, punk-rock, wrestling, carta e penna.

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