Il 29 aprile 2017 viene incoronato al Wembley Stadium quello che alcuni definiscono il nuovo “imperatore” (le virgolette sono d’obbligo) dei pesi massimi Anthony Joshua: a Londra 2012 sconfisse Cammarelle con un verdetto contestato, ecco il nostro giudizio sulla vicenda e sulla boxe del campione azzurro.

 

Storicamente i campioni riconosciuti come tali, in ogni categoria di peso e ancor di più nei pesi massimi, passano da uno step ben preciso: il fregiarsi di un oro olimpico, precursore di una dominazione più o meno importante, poi, nel mondo del professionismo. Per citarne solo due (ma lunghissimo potrebbe essere l’elenco) Muhammad Ali (Roma 1960, nella categoria dei mediomassimi) e Nino Benvenuti (Roma 1960, nella categoria di welter) – per l’appunto – furono entrambi ori, e tali raggiungimenti preannunciarono le  carriere fantasmagoriche del primo e del secondo.

ROBERTO CAMMARELLE E IL DOMINIO INDISCUSSO

Ritornando al nuovo “imperatore” (e le virgolette sono d’obbligo), il pedigree del ragazzone classe 1989 di Watford, sembra essere di prim’ordine: oro olimpico a Londra nel 2012 nella categoria dei super-massimi (nei dilettanti i +91 kg determinano l’appartenenza alla categoria dei super-massimi, semplicemente “massimi” nel professionismo). Quell’anno ricordo, da grande appassionato quale sono, di aver assistito a quell’olimpiade – in particolare per quel che riguarda la boxe – con grande trepidazione, poiché agli ultimi giochi olimpici (quelli di Pechino 2008) il campione in carica, medaglia d’oro dei super-massimi, fu il nostro campione indiscusso Roberto Cammarelle. Già due volte campione del mondo (2007 e 2009) e oro olimpico a Pechino, Robertone si apprestava a ridefinire il concetto di supremazia nei pesi super-massimi. La scalata alla finale olimpica, nel 2012, fu assolutamente fulgida, ribadendo quella forza e intelligenza degna dei più grandi della storia di questo sport. Il suo diretto sinistro potrebbe annoverarsi facilmente sotto il diktat “arma impropria”, così come fu nel 2008 nessun avversario poteva resistere a quel colpo dritto lanciato con assoluta violenza (l’indecente – a dir poco- scalata alla finale, nelle olimpiadi di Pechino, dell’avversario di Robertone, tale Zhang Zhilei, fu del tutto viziata da decisioni arbitrali vergognose, e per questo il nostro campione concluse con uno splendido Knock-out la disputa che lo incoronò nuovo imperatore della categoria dei super-massimi), e così anche a Londra 2012: gli avversari non potevano far altro che difendersi, sperando che quel colpo maledetto non giungesse, sapendo bene che ne bastava soltanto uno per concludere la disputa.

 

IL FURTO NELLA FINALE OLIMPICA

La sera del 16 agosto 2012 mi apprestavo quindi a godermi l’ultimo match tra il giovane ragazzone inglese, colosso di quasi 2 metri per 110 kg, e il nostro pluri-campione iridato, sapendo che, salvo sorprese (possibili in uno sport così particolare), nulla avrebbe potuto il 23enne inglese contro l’esperto, fortissimo campione nostrano. Così infatti fu, potendosi solo difendersi dalla mostruosa potenza che Robertone scatenò sul quadrato. Ricordo chiaramente 3 riprese dove Joshua non fece altro che cercare di scappare dall’avversario, venendo colpito più volte, barcollando (letteralmente) per il quadrato, buttando, qua e la, qualche colpo ad occhi chiusi, incapace di portare alcun fendente degno di nota. Quella sera però per qualche motivo (questa è la vergogna del dilettantismo, comunque già pregustata nella Pechino del 2008, anche se allora giustizia fu fatta) i giudici assegnarono la medaglia d’oro al pugile di casa. Ricordo che al momento del rito, quando l’arbitro porta entrambi i pugili, a fine match, al centro del ring per decretarnee il vincitore, l’inglese aveva preso talmente tanti colpi da risultare ancora intronato, con l’occhio stralunato di chi non sta del tutto capendo ciò che sta succedendo. Così fu, e l’ultima olimpiade del nostro fenomeno milanese si concluse con un immeritato argento.

 

OCCASIONI MANCATE

Se devo (e devo) spezzare una lancia a favore del pugile inglese, mi duole dire che almeno lui ha tentato (riuscendoci) la scalata alla boxe che conta, e forse ciò non è frutto solo di “promotion” di massimo livello come quelle sigle inglesi e americane che tengono alla magia di chi non deve sprecare un talento così raro, supportato da una fisicità fuori dal comune. Rimane però il rimpianto, vedendo oggi l’incoronazione di Joshua, pensando a quello che sarebbe potuto essere qualora Robertone (e “l’organizzazione”) avesse deciso di mostrare al mondo la sua straordinaria dote, senza caschetto e senza canotta.

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