Lo sport italiano ricorda Marco Pantani, il campione romagnolo di ciclismo entrato nei cuori degli appassionati per le sue imprese. Oggi avrebbe compiuto 50 anni.

Marco Pantani in azione sulle strade del Tour de France

Mezzo secolo è un arco temporale piuttosto ampio. C’è lo spazio per rivoluzioni, cambiamenti improvvisi o graduali, maturazioni. E si ha modo di tracciare un bilancio di quanto compiuto fino al cinquantesimo anniversario. Chissà quale sarebbe stata la valutazione di Marco Pantani se avesse potuto arrivare ai fatidici 50 anni. Oggi, giorno del suo compleanno, probabilmente avrebbe ripensato a quanta strada ha percorso dalla sua Cesenatico per consacrarsi in sella alla sua bici. È stato un percorso intenso, fatto di cadute e rinunce, rimonte affannose tra ospedali e salite. Alti e bassi, come suggerirebbe l’altimetria di una tappa per scalatori come lui, amanti dei pendii più duri e spericolati nelle discese ad alta velocità.

ATTACCANTE

Del resto, la sua indole nel bruciare rapidamente le tappe si è verificata prestissimo. Classe 1970, a 10 anni prendeva confidenza con l’amata bicicletta, a 20 chiudeva al terzo posto il suo primo Giro d’Italia dilettanti. Una corsa che avrebbe fatto sua due stagioni dopo, prima del grande salto tra i professionisti con la Carrera. A 30 anni vinceva le sue ultime tappe al Tour de France e concludeva una parabola sportiva straordinaria. I risultati sportivi mettono in evidenza una piazza d’onore al Giro ‘94 e due piazzamenti sul podio della Grande Boucle fino al magico 1998. L’anno della doppietta, del trionfo sulle strade italiane e francesi. Un capolavoro realizzato con uno stile proprio, quello del Pirata, come amava farsi soprannominare Marco, con tanto di bandana e look sbarazzino. Attaccante puro, senza troppi tatticismi, Pantani amava la battaglia in salita. Scatti e progressioni micidiali ad un ritmo sostenuto che piegavano la resistenza degli avversari, sfibrati da una simile furia. Senza dimenticare quella lucida follia che lo spingeva ad attacchi apparentemente esagerati, sconsigliati dal calcolo del buonsenso. Ma ciò che per tutti era pura utopia diventava un capolavoro realizzato a colpi di pedale dal Pirata.

RICORDO

Probabilmente, a distanza di quasi sedici anni dalla sua tragica scomparsa, quello che più è rimasto di Pantani nella memoria collettiva è stato proprio quel modo di intendere la corsa. Uno stile anticonformista, lontanissimo dai canoni moderni e più vicino agli anni pioneristici del ciclismo. Per questo motivo, la sua immagine ha ispirato le generazioni successive, lasciando un solco profondissimo. Vincenzo Nibali ha ammesso più volte la sua ammirazione per Marco. Alberto Contador si è spinto oltre, raccontando di una vera e propria venerazione per il Pirata, da cui tentava di apprendere ed emulare diversi aspetti, dalla tattica in corsa alla posizione sulla bicicletta. L’ultimo ammiratore uscito allo scoperto è Egan Bernal. Il colombiano del Team Ineos, vincitore del Tour de France 2019, è nato nello stesso giorno del romagnolo a distanza di 27 anni.  E ha spesso narrato con emozione quanto forte sia stata l’ispirazione proveniente dalle gesta di Pantani. Non è un caso se, dopo il superlativo trionfo sulle strade del Gran Piemonte, il baby fenomeno abbia subito svelato di aver interpretato la gara ripensando alla cavalcata di Marco nel Giro d’Italia 1999, quando a Oropa diede vita ad una rimonta strepitosa, vincendo nonostante un salto di catena. Esempio, ispirazione, icona. Il mito del Pirata romagnolo non smette mai di vivere e insegnare.  

Federico Mariani
Nato a Cremona il 31 maggio 1992, laureato in Lettere Moderne, presso l'Università di Pavia. Tra le mie passioni, ci sono sport e scrittura. Seguo in particolare ciclismo e pallavolo.

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