Tempo di bilanci al termine del Giro d’Italia 2018. Una corsa altamente spettacolare, ma anche piena di polemiche e tensioni relativi al doping e all’organizzazione.

Froome (a destra) stringe la mano a Dumoulin (fonte Gazzetta.it)

SPETTACOLO E POLEMICHE: FROOME, IL VINCITORE CHE DIVIDE

Up and down. Su e giù. I saliscendi hanno indubbiamente caratterizzato il Giro d’Italia 2018. Le salite, epiche ed impervie, e le discese, tecniche ed esigenti, si sono sprecate nel generare colpi di scena a ripetizione, a dimostrazione della bontà del concepimento del percorso. Non c’è mai stata una giornata interlocutoria. Ogni tappa ha riservato sorprese ed azioni coraggiose, con tanti corridori protagonisti. Indubbiamente, le emozioni principali provengono dalla Venaria Reale-Bardonecchia, con la scioccante cavalcata di oltre 80 chilometri realizzata da Chris Froome. Forse, è anche giusto che la frazione più coinvolgente abbia incoronato il vincitore della corsa rosa. “Froomey” è il primo britannico a conquistare la gara a tappe più importante nel panorama italiano. Lo ha fatto evocando una parte di sé meno nota, quella dell’attaccante. Magari, è tornato con la mente indietro nel tempo, fino alla sua fanciullezza, immaginando di non scalare il Colle delle Finestre, ma di girare con la sua mountain bike per la savana del nativo Kenya. Il grande calcolatore si è fatto generoso come non mai. Eppure, la presenza del capitano del team Sky ha destato notevole scalpore fin dall’inizio per via del caso del salbutamolo. I tifosi si sono mostrati scettici e contrariati fino al giorno dell’impresa di Bardonecchia, oscillando tra una contrarietà per il mancato verdetto sulla vicenda ed un ringraziamento per la condotta ostentata in corsa. Tra i corridori, invece, non sono mancati coloro che hanno espresso il proprio disappunto. C’è chi, come Tom Dumoulin, lo ha fatto capire in maniera nitida, senza veli, perfettamente coerente con il modo di fare dell’olandese; c’è chi si è lasciato andare a considerazioni ambigue, come nel caso di George Bennett, con l’accostamento dell’impresa di Froome con la celebre fuga di Floyd Landis al Tour de France 2006, resa vana dalla positività dell’americano. Insomma, Chris continua a dividere. Non si riesce a trovare un accordo sul suo caso nemmeno ai piani alti. Il Presidente dell’UCI, David Lappartient, si è schierato contro l’anglo-keniota, quasi rifiutandosi di riconoscere il suo trionfo in rosa. Tuttavia, il materiale offerto dagli avvocati di “Froomey” per testimoniare la sua innocenza sta costringendo i vertici a prolungare i tempi per prendere una decisione definitiva. E, qualora dovesse arrivare la squalifica di almeno un anno, la storia del ciclismo verrebbe nuovamente riscritta a tavolino. Addio Vuelta di Spagna, cornice del bellissimo duello con Vincenzo Nibali. Addio Giro d’Italia, gara della consacrazione. Un vero peccato, date le emozioni offerte dalle due competizioni, specialmente se confrontate con l’esasperante surplace presente al Tour de France degli ultimi anni.

DA GERUSALEMME A ROMA: PROBLEMI… ON THE ROAD

Alpha e omega. È stata l’edizione delle polemiche riguardanti le sedi di apertura e chiusura della corsa rosa. Mai un Grande Giro era partito a Gerusalemme. Ovviamente, si sono sprecate le polemiche riguardanti l’attraversamento di un territorio ancora fortemente dilaniato da conflitti. Far sfilare la carovana lungo le strade di Israele, con ancora le problematiche riguardanti la Palestina, è stato oggetto di forti contestazioni. In termini di pubblico e sicurezza, comunque, le tre frazioni iniziali si sono rivelate un autentico successo. Il calore degli appassionati israeliani è stato spontaneo e contagioso, a volte, persino oltre le righe, travolto da un entusiasmo incontenibile. Deludente, invece, l’ultima tappa a Roma. Le ormai proverbiali buche capitoline hanno creato disagio tra i corridori, indisposti a rischiare una caduta proprio nel giorno conclusivo del Giro d’Italia. Un simile appuntamento si poteva curare in maniera decisamente migliore, specialmente dopo le rinunce ad ospitare altre competizioni, una su tutte le Olimpiadi del 2024 Per certi aspetti, è un nuovo flop per la Città eterna.

NUOVE TATTICHE IN CORSA

Eccezion fatta per l’ultima tappa, l’intero tragitto del Giro è stato percorso ad un ritmo esasperante. La media della corsa si aggira attorno ai 40 chilometri orari. Un numero impressionante se si pensa che la carovana è passata su monti come Zoncolan e Colle delle Finestre, notoriamente veri e propri calvari per i ciclisti. Una cifra resa tale anche dalla condotta di gara piuttosto inusuale rispetto al passato. Solamente in tre occasioni la fuga di giornata è riuscita ad arrivare fino al traguardo.  Un drastico calo rispetto al passato, quando, in diverse occasioni, gli attacchi da lontano trovavano la complicità di alcune formazioni, interessate a rifiatare o a lasciare ad altri l’onere di rincorrere. Quest’anno, invece, nessuno si è risparmiato. I velocisti hanno lottato per fare incetta di successi, ma anche gli uomini di classifica non hanno esitato a duellare su ogni traguardo per conquistare vittorie ed abbuoni preziosi. Solamente nelle ultime giornate, quando si stava concretizzando il ribaltone ad opera di Froome, c’è stato spazio per altri protagonisti. È un cambiamento tattico inatteso, forse perlopiù dettato dal tipo di percorso che da una reale rivoluzione negli scacchieri. Il Tour de France dirà se il modus operandi attuato sulle strade italiane farà tendenza.

TOP E FLOP

Resterà il Giro dell’impresa di Chris Froome. Sicuramente, il britannico merita la prima pagina per come si è imposto. Tuttavia, anche altri corridori non sono stati meno apprezzabili per l’impegno profuso. Se la corsa è rimasta in bilico fino all’ultimo è per merito di Tom Dumoulin. L’olandese della Sunweb non è riuscito a difendere il titolo conquistato un anno fa nell’incredibile epilogo milanese. Tuttavia, ha impressionato la sua adattabilità ad un percorso, sulla carta, assai penalizzante per le sue doti da passista-cronoman. Con una tenacia ed una costanza incredibili, si è rivelato un osso durissimo per il fuoriclasse del team Sky. Con una migliore gestione tattica nella Venaria Reale-Bardonecchia, il bis non sarebbe stato utopistico. È stato anche il Giro di Simon Yates, finalmente apparso su altissimi livelli. Fatale la mancanza di tenuta nelle tre settimane e, con il senno di poi, la gestione delle proprie risorse. Il ragazzo si farà perché di talento ne dispone in quantità. È solo questione di tempo. È stata la gara del duello tra Miguel Angel Lopez e Richard Carapaz, giovani eredi della generazione precedente dei sudamericani, rappresentata dai vari Quintana ed Uran. Da applausi la Androni-Sidermec di Gianni Savio, probabilmente la miglior formazione per come ha interpretato la corsa, attaccando in ogni giorni e mettendo in risalto talenti cristallini come Fausto Masnada e Davide Ballerini. Da applausi la sfida tra le ruote veloci di Elia Viviani e Sam Bennett, conclusa con il successo dell’italiano. Una bella rivincita per il veronese. Il vero flop è Fabio Aru: il sardo della UAE Emirates doveva dimostrare al mondo di essere un vincente, di battere Froome sulle strade di casa. Niente di tutto ciò. Anzi, un rumoroso tracollo. Il volto triste del Giro d’Italia 2018.

Federico Mariani
Nato a Cremona il 31 maggio 1992, laureato in Lettere Moderne, presso l'Università di Pavia. Tra le mie passioni, ci sono sport e scrittura. Seguo in particolare ciclismo e pallavolo.

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