Si è concluso il Tour de France 2020. Andiamo a trarre un bilancio della corsa francese, vinta da Tadej Pogacar, dopo una grande rimonta su Primoz Roglic.

Il podio del Tour de France 2020: Primoz Roglic 2° (a sin.), Tadej Pogacar 1° (al centro) e Richie Porte (fonte profilo Twitter Tour de France)

Tutti a scuola o forse no. L’anno scolastico riparte in Italia tra curiosità e perplessità generali di fronte alle soluzioni adottate per fronteggiare il crescente ritorno dell’emergenza Coronavirus. Probabilmente, se non fosse un ciclista, Tadej Pogacar potrebbe essere con buona probabilità uno dei tanti studenti universitari impegnati con gli esami della sessione di settembre. Indubbiamente è riuscito a superare a pieno voti e con lode lo scoglio più temuto tra i corridori: il Tour de France. Lo sloveno classe 1998 festeggia oggi 22 anni e magari per la serata con gli amici avrà l’imbarazzo della scelta sull’outfit: rende meglio la maglia bianca di miglior giovane o la casacca a pois riservata al miglior scalatore della corsa? Anzi, meglio il giallo, perché conferisce un tono diverso, più autorevole. Magari ci penserà la fidanzata Urska Zigart a consigliarlo.

TENDENZA 

Il successo di Pogacar arriva un anno dopo l’impresa di un altro baby talento: Egan Bernal. Nel 2019, a 22 anni, il colombiano del team Ineos risultò imbattibile in ogni competizione, dalla Parigi-Nizza al Tour de Suisse. Fino al Tour, vinto alla maniera dei grandissimi scalatori del passato, con attacchi da lontano per sgretolare la concorrenza senza attendere l’ultima ascesa. Uno schiaffo alle ferree convenzioni dei tatticismi. Sabato Pogacar è sembrato una sorta di nuovo Merckx: terza vittoria di tappa, peraltro senza l’assistenza di computer vari per certificare la propria velocità, e trionfo in tre classifiche nello stesso Grande Giro. Una tripletta che non capitava proprio dai tempi del Cannibale belga. Giovani e spregiudicati, ma con forti richiami alle tradizioni di un ciclismo considerato ormai vecchio e superato. Questo sembra essere l’identikit dei nuovi campioni a cui potrebbe presto aggiungersi Remco Evenepoel, altro potenziale fuoriclasse belga classe 2000 capace di vincere per distacco su qualsiasi terreno.

AU REVOIR DREAM TEAM 

“Uno per tutti e tutti per uno”. Il motto dei tre moschettieri è uno slogan perfetto per le due attesissime corazzate del Tour. Ineos Grenadiers e Jumbo Visma si erano allenate nelle corse precedenti la Grande Boucle. Erano state costruite per annientare l’una l’altra, in una sorta di guerra per il potere nel gruppo. Il Giro del Delfinato era stato premonitore: la Ineos non era più imperforabile e Bernal mostrava qualche limite fisico e, forse, nella tenuta psicologica. Segnali poco ascoltati o forse seguiti senza trovare le giuste soluzioni. Uno per tutti e tutti per uno: via gli ex vincitori Chris Froome e Geraint Thomas, che avrebbero potuto togliere pressione a Egan, e spazio al colombiano come unica punta. Tuttavia i guai fisici del Condor sono aumentati e con essi è diventato ancora più facile il compito della Jumbo Visma che ha fagocitato i vecchi dominatori in un avvicendamento ai vertici clamoroso per lo strapotere offerto. Uno per tutti e tutti per uno anche tra le vespe: i gialloneri hanno puntato tutto su Primoz Roglic, l’uomo del destino, dal momento che lui aveva regalato allo squadrone olandese il primo podio e l’acuto numero uno in un Grande Giro nella sua storia. Dopo la Vuelta toccava al Tour, per completare un percorso prodigioso. Ma in ogni concerto c’è anche il momento in cui il primo violino viene chiamato all’assolo. Roglic ha diretto meravigliosamente la sua orchestra, ma quando è arrivato il turno dell’esibizione in solitaria, non ha trovato le note a cui aveva abituato tutti. Ha steccato alcune melodie e la fretta di trovare il ritmo è stata cattiva consigliera. Così i simboli del finale da incubo della Jumbo Visma sono stati gli sguardi impotenti e attoniti di Tom Dumoulin e Wout Van Aert, due dei migliori luogotenenti di Primoz, intenti ad assistere alla più imprevista tra le Waterloo, a La Planche des Belles Filles. È prematuro affermare che l’epoca delle grandi corazzate sia terminata. Più probabilmente sarà una lezione importante per il futuro.

INCREDIBILE BENNETT

L’unico squadrone superstite è la Deceuninck Quick Step. Merito di Sam Bennett. L’irlandese non è un predestinato come Peter Sagan, ma conosce l’importanza degli attimi da cogliere, un po’ come gli accade quando gioca all’amata Playstation. E come nella realtà virtuale servono tentativi e tempo per migliorare. Due anni fa contese fino alla fine la maglia ciclamino a Elia Viviani al Giro, quando correva per la Bora Hansgrohe. Ora si impone nella classifica a punti della Grande Boucle, battendo proprio il vecchio punto di riferimento, interrompendo l’imbattibilità dello slovacco, che durava dal 2012, eccezion fatta per la discutibile e discussa squalifica del 2017 dopo quattro tappe. Sam è stato un martello. Ha sfruttato a suo favore ogni situazione, vincendo sui traguardi favorevoli e resistendo quando le folate della Bora lo spingevano lontano per agevolare le sparate di Sagan. Ma passata la bufera, ha dominato gli sprint, sostenuto anche dall’ottimo Michael Morkov, spalla preziosissima. Missione compiuta, Bennett è diventato verde come l’incredibile Hulk. Quale sarà il prossimo livello del nuovo supereroe? 

Federico Mariani
Nato a Cremona il 31 maggio 1992, laureato in Lettere Moderne, presso l'Università di Pavia. Tra le mie passioni, ci sono sport e scrittura. Seguo in particolare ciclismo e pallavolo.

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