Un buon mondiale per la nazionale di rugby femminile che è stato la perfetto chiusura di un ciclo che ha visto le azzurre conquistare due ottimi piazzamenti al Sei Nazioni. Cosa aspettarsi dal futuro di questa nazionale? Scopriamolo con questa inchiesta.

Le Azzurre si sono ben distinte in questa edizione della Women’s Rugby World Cup (Fonte FB @federugby)

DIETRO LE BIG, MA CI SIAMO

L’Italia conquista l’ottavo posto nel ranking World Rugby, scavalcando la Spagna e l’Irlanda dopo questa manifestazione, eguagliando il miglior risultato nelle propria storia (prima volta dopo il Sei Nazioni 2016). Una nazionale molto esperta la nostra, ma che è condita da tante ragazze in rampa di lancio che hanno partecipato a quest’ultima edizione.

Se davanti ci sono movimenti che sono difficilmente raggiungibili nel futuro prossimo, almeno si è riusciti a consolidare la posizione dietro ai mostri sacri di questo sport, cioè Australia, Inghilterra, Francia, Canada e USA (considerato solo il femminile). Soprattutto, la vittoria contro la Spagna testimonia che le azzurre possono tranquillamente giocarsela con le attuali campionesse d’Europa, dimostrando durante il match tratti di superiorità in campo, e affermando la propria partecipazione al Sei Nazioni femminile, messa in discussione più volte dalla sua entrata (così come gli uomini).

E’ proprio nel Six Nations che le azzurre hanno ottenuto ottimi risultati: un terzo posto del 2015 e un quinto del 2016, che rappresentano i migliori risultati dal loro ingresso nel 2007, nonostante la scorsa edizione si siano aggudicate il “cucchiaio di legno“, ma riuscendo a mettere il seria difficoltà team molto più attrezzati come Inghilterra e Scozia. Il risultato ottenuto in terra irlandese mette fine ad un ciclo per la nazionale femminile sicuramente positivo, trattandosi della classica ciliegina sulla torta che esprime il buon percorso di crescita di tutto il movimento di rugby femminile.

COSA ASPETTARCI DALL’IMMEDIATO FUTURO?

Il 19 Novembre partirà il nuovo ciclo in quel di Biella, dove esordirà la nuova nazionale tanto cambiata nel test match contro la Francia. Già, ci saranno tante novità visto che diverse atlete hanno lasciato la nazionale dopo anni di onorato servizio, mettendo in atto il dovuto ricambio generazionale, già in parte attutato nella campagna in terra d’Irlanda lo scorso agosto.

Silvia Gaudino e Paola Zangirolami, entrambe già capitane dell’Italia e con 72 e 76 caps rispettivamente, hanno salutato la Nazionale italiana di rugby femminile, insieme alla miglior marcatrice della storia azzurra Veronica Schiavon (82 caps e 351 punti segnati), al pilone Elisa Cucchiella (67 caps), al flanker Michela Este (55 presenze), al centro Maria Grazia Cioffi (51 caps) e alla seconda linea Alice Trevisan (43 caps). Tanta esperienza e tanto talento che dovranno essere ben rimpiazzate a partire dal prossimo test match, che servirà per preparare al meglio il Sei Nazioni della prossima primavera, che dovrà essere l’inizio del nuovo ciclo azzurro che porterà al mondiale del 2021.

Si ripartirà dal talento di Melissa Bettoni (Stade Rennais, 40 caps), Woman of the match contro il Giappone agli scorsi mondiali, insieme alla compagnia di squadra Lucia Gai (52 caps), Silvia Barattin (76 caps) e Manuela Furlan (60 caps) che andranno a costituire lo zoccolo duro dalla quale ripartirà la selezione nazionale agli ordini di ct Di Giancomenico, confermato appieno dopo l’ottimo rendimento della squadra nell’ultimo ciclo.

IL MOVIMENTO DI RUGBY FEMMINILE

La nazionale maggiore dipende sempre dal movimento che si crea e che si mantiene sotto di lei, come un edificio ha garanzie di stabilità se le fondamenta sono stabili e durature nel tempo. Nel caso del rugby femminile, la situazione attuale è ad un punto di stallo.
Mentre gli uomini godono di una netta superiorità in termini di pubblicità e visibilità, le donne faticano ancora a ritagliarsi uno spazio sugli eteri più comuni degli appassionati italiani. E questo è già un primo punto importante, dato che questo sport deve poter essere visibile nella penisola per poter essere praticato, e soprattutto per ricevere sponsor e finanziamenti dai privati, che al momento mancano. Differenza importante, dato che il movimento maschile ha potuto emergere grazie alle sponsorizzazioni private e anni di popolarità grazie alle continue trasmissioni in chiaro delle partite e all’avvicinamento di personaggi popolari (tipo Chef Rubio o il giornalista Raimondi). Se in questo discorso di pubblicità si aggiungesse anche la nazionale femminile di rugby, forse l’intero movimento potrebbe beneficiarne, per esempio mostrando in chiaro il Sei Nazioni femminile insieme al maschile.
Al momento, le atlete tesserate risultano essere ll’incirca 8 mila, numero che è cresciuto pian piano nel corso degli anni, ma che ancora fatica ad avere un incremento rapido come si è verificato in altri sport (come calcio e volley). Ecco, forse la soluzione più semplice e diretta potrebbe essere assimilata dallo sport cugino del rugby: l’anno scorso infatti c’è stato un incentivo da parte della FIGC alla creazione di squadre femminili associate a quelle maschili, dando un grosso impulso all’avvicinamento da parte del gentilsesso allo sport, grazie alla grande notorietà che i più importanti club italiani di calcio hanno messo a disposizione. Perchè non percorrere la stessa soluzione anche nel rugby?
 

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Gianluca Zanfi
Studente Magistrale di Ing.Civile@Unimore. Spalmato sul divano e con un telecomando in mano, ogni sport diventa magicamente interessante e degno di racconto.

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