Il campione di Tiro con l’Arco Mauro Nespoli, atleta azzurro dell’Aeronautica Militare e vincitore dell’oro alle Olimpiadi di Londra 2012, parla della sua carriera e dell’amore per questa disciplina.

Da sinistra: Michele Frangilli, Marco Galiazzo e Mauro Nespoli durante l’Inno italiano sul primo posto del podio a Londra 2012
FONTE:  Fitarco/World Archery

Nespoli: “Il tiro con l’arco insegna a lavorare con se stessi”

A che età hai iniziato a praticare tiro con l’arco?

Tutto è iniziato a 9 anni e mezzo, ero in montagna ad Aprica e organizzavano una gara di tiro con l’arco, lì mi è venuta voglia di provare questa disciplina. Successivamente mi sono letteralmente innamorato di questo sport, c’era la possibilità di praticarlo con una società, la DLF Voghera, con la quale poi ho consolidato a tempo pieno la mia passione.

Qual è la cosa che più ti stimola di questo sport?

Gli stimoli maggiori arrivano dall’essere da solo con me stesso durante gli allenamenti e durante le competizioni, quindi avere fondamentalmente il controllo e subito la valutazione della buona riuscita o meno di quella che è stata la mia prestazione. In pratica potermi assumere la responsabilità del risultato ottenuto.

Quanto è importante per un atleta il supporto dell’Aeronautica Militare?

Parlando di tiro con l’arco, è uno sport meno conosciuto dove non girano i soldi di sport più blasonati o comunque più considerati in Italia. È fondamentale il supporto delle forze armate, e nel mio caso dell’Aeronautica Militare, perché mi permette di organizzare gli allenamenti a tempo pieno, con la tranquillità di non dover “pensare ad altro”, e fare del tiro con l’arco un’attività giornaliera, infatti mi alleno 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana.

Nel 2012 hai vinto l’oro alle Olimpiadi di Londra, cosa ricordi di quella gara?

Tantissima tensione e tantissima agitazione. Nello specifico ricordo due momenti particolarmente importanti, ancora accesi nella mia memoria. Il primo è il rientro nella sala d’attesa dopo la semifinale vinta contro il Messico, quando ho incrociato  lo sguardo con Frangilli ed entrambi eravamo estremamente emozionati, estremamente carichi di adrenalina ed entrambi decisamente tremanti per il raggiungimento della finale. Il secondo è l’ultimissimo tiro di Michele, io ero dietro alla linea di tiro che gli facevo il countdown dei secondi, e siamo arrivati allo scadere del tempo prima che lui lasciasse la corda, ma dopo che ha scoccato il tiro, mentre lo stavo guardando, per quanto era  composto e deciso, ero sicuro sarebbe andata dentro, ho dovuto  solo aspettare che lo speaker ufficializzasse il 10 e confermasse la nostra vittoria.

Qual è stata, nella tua carriera, la gara che ti ha lasciato un po’ di amarezza e dove avresti potuto dare di più?

Sicuramente l’anno successivo nella finale di Coppa del Mondo a Parigi. Era la mia prima finale di Coppa del Mondo individuale, e sono arrivato  sicuramente molto carico e con grandissime aspettative, probabilmente anche con un pizzico di presunzione eccessiva. I tiri di prova andavano particolarmente bene, l’anno prima avevamo  appunto vinto le Olimpiadi e ho sottovalutato l’impatto e il carico emotivo che  quella particolare competizione avrebbe richiesto. L’ho presa un po’ troppo alla leggera e  la prestazione si è poi tradotta in qualcosa di decisamente  imbarazzante in termine di punteggio. È stata una batosta, un contraccolpo decisamente importante.

Quanto è stato duro il periodo di quarantena e la posticipazione delle Olimpiadi?

Come atleta di livello internazionale, e quindi di interesse da parte del Coni e della federazione, come tutti i miei compagni di squadra e i probabili  olimpici italiani, ho avuto la possibilità di continuare ad allenarmi tutto il tempo. In realtà il nostro lockdown è stato di circa un mese, dal 4 di aprile al 4 di maggio, quando è stata confermato il rinvio dei Giochi Olimpici. Volendo vedere il lato positivo, è stata un’occasione per poter testare alcuni accorgimenti tecnici, alcuni schemi nei programmi di allenamento in chiave olimpica senza avere l’Olimpiade.

Purtroppo noi questa cosa non la possiamo mai fare, l’anno prima delle Olimpiadi abbiamo la gara di qualificazione, e dobbiamo essere sempre in forma; è vero che le Olimpiadi  avvengono ogni 4 anni, ma richiedono un tempo di preparazione che ti lascia poco margine di sperimentazione. Quest’anno in più si è trasformato sicuramente in un’occasione per aggiustare il tiro  in chiave 2021, sperando che i giochi vengano confermati vista l’attuale situazione a livello mondiale.

In riferimento alle Olimpiadi, sei uno degli atleti azzurri che ha già ottenuto il pass per Tokyo, come ti stai preparando? Quali avversari saranno secondo te più ostici?

Rispetto all’anno passato ho sicuramente aumentato il numero di frecce tirate, e in questo momento mi muovo intorno alle 500 frecce di media al giorno, con tutta una serie di esercitazioni. Ormai il tiro con l’arco non è più solo il “tirare delle frecce  verso un bersaglio”, ma è considerato uno sport a 360°, con una preparazione fisica e mentale decisamente più importante, quindi il numero di frecce tirato in condizioni di gara è molto ridotto, un buon 60%/70% avviene in condizioni di difficoltà. Per difficoltà intendo per esempio il tipo di arco, tirare da seduto o in condizioni disturbate riguardanti rumori, luci; quindi alleniamo un po’ tutto, non solo il gesto tecnico di per se, proprio perché il numero e il livello degli avversari è decisamente cresciuto negli anni.

Oggi non ci troviamo più solo contro la Corea e gli Stati Uniti, ma anche contro Cina e Giappone, quest’ultimo gioca in casa. L’India è molto competitiva, in Europa l’Olanda è già qualificata ed è cresciuta molto nel settore maschile, in questo momento ha a disposizione tre ragazzi giovani e forti che avranno sicuramente qualcosa da dire in futuro. La Francia e la Spagna sono bene organizzate, se prima potevamo dire di essere noi il riferimento in Europa, gli Stati Uniti nelle Americhe e la Corea in Asia, in realtà ora in ogni continente troviamo 5 o 6 paesi competitivi che se la giocano ad armi pari. Anche con il cambio della formula a set, per quanto riguarda gli scontri, sicuramente già dai dodicesimi di finale si sta tirando una finale olimpica.

Questo è sicuramente uno sport meno conosciuto rispetto ad altri, ci puoi raccontare che cosa significa realmente praticare il tiro con l’arco? Quali sono i vantaggi, da un punto di vista fisico e mentale, che questa disciplina può trasmettere?

Da un punto di vista mentale va da se che, come in tutti gli sport di mira, si richiede un grande concentrazione e la capacità di scegliere quali segnali far passare dall’esterno. Il vento può essere interessante e il pubblico no, quindi la capacità di modulare il proprio carico di attenzione ma soprattutto saper gestire il focus e identificare cosa è importante e cosa no, quindi cosa cancellare e cosa tenere di quello che arriva dall’esterno. Questo sport insegna, un po’ come tutte le discipline, da un punto di vista mentale, a gestire l’ansia e a sopportare pressioni che arrivano da fuori. Il fatto che non ci sia un contatto diretto con l’avversario, e che quest’ultimo non possa influire con le proprie frecce sulle tue, ti porta a essere estremamente riflessivo, quindi ti porta a prendere il tuo tempo per essere efficace, di conseguenza imparare anche a gestire le emozioni e l’attenzione, per poi calibrarla durante tutta una gara che dura anche 5 ore, dunque accendersi e spegnersi quando serve. Dal punto di vista fisico sicuramente le braccia, il tronco, ma in generale la parte alta del corpo è allenata, mentirei dicendo che nel tiro con l’arco siamo tutti estremamente magri, ma questo perché non è richiesto dalla disciplina.

Nel tempo si pensava addirittura che l’arciere più pesante fosse anche più stabile, ora sappiamo che non è così, basta sviluppare la muscolatura in maniera adeguata. Un atleta, in questo caso un arciere professionista, si allena anche dal punto di vista aerobico, con l’unico scopo di recuperare, far girare il sangue e ossigenare i muscoli, per recuperare più velocemente le energie e ripristinare più velocemente la propria condizione tra un allenamento e l’altro.

Una cosa che si tende sempre a sottovalutare è il peso dell’arco, che pesa all’incirca 3 kg, e per tendere la corda ne vanno sviluppati 25 kg. Un arciere professionista si allena tirando all’incirca dalle 300 alle 600 frecce al giorno, moltiplicando questi numeri per il carico di ogni singola freccia fa notare che muoviamo un quantitativo di chili decisamente importante. Essere allenati da un punto di vista aerobico ti permette il giorno dopo di essere nuovamente sul campo a esercitare le spalle e le dita, e a tirare nuovamente.

(Fonte immagine di copertina: profilo Instagram dell’atleta)

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