Scherma. La storia di Dorina Vaccaroni, la “diva” del fioretto femminile italiano. L’azzurra che seppe conquistare quattordici medaglie tra Giochi Olimpici, Mondiali ed Europei, lasciando un segno indelebile nella storia della scherma internazionale.

Dorina Vaccaroni (profilo Twitter ufficiale CONI)

La storia di Dorina Vaccaroni: gli inizi della “diva” del fioretto femminile italiano 

«La ragazza terribile della scherma italiana: quella bella, viziata e capricciosa»

La descrive con queste parole Emanuela Audisio, giornalista alla quale disse, in un’intervista: «Ho sofferto per l’invidia delle altre. Ero una ragazzina, avevo diciassette anni, un aspetto molto femminile, gli anelli, la treccia, gli orecchini, gli orsacchiotti di peluche dentro la sacca dei fioretti. Sorridevo sempre. E tutti a dire: se la tira, è una diva, è arrogante, è viziata. Mi odiavano, provavano un gusto enorme a battermi, erano gelose e me la facevano pagare». 

In realtà, al debutto Olimpico, a Mosca 1980, Dorina Vaccaroni di anni ne ha solo sedici. Nonostante la giovanissima età, la “stellina” azzurra classe ’63 chiude sesta nell’individuale e quinta nella gara a squadre. È solo l’inizio di una brillante carriera.

E sì, ha una lunga treccia, orecchini e anelli, gli immancabili portafortuna nella sacca… Ma, soprattutto, Dorina ha già raccolto molti successi a livello giovanile, in campo nazionale e internazionale, è nel circuito degli “assoluti” dal 1977, anno in cui debutta ai Campionati del Mondo, e, ormai è chiaro a tutti, è destinata a diventare la futura stella della Nazionale italiana del fioretto femminile. Anche se a molti, soprattutto tra gli addetti ai lavori, la cosa non è poi molto gradita. 

La ragione è semplice: Dorina Vaccaroni non conosce il compromesso. Nel bene e nel male, lei è sempre se stessa. Da questo punto di vista, è la perfetta rappresentazione dell’allieva del maestro Livio Di Rosa, che dai dodici anni, al Circolo scherma Mestre, la inizia definitivamente a quello sport cui si era avvicinata sette anni prima, nella sua Venezia. “Se i suoi piedi non rispettano le posizioni classiche, ma in questo modo lo aiutano a tirar bene, perché costringerlo a cambiare?” chiedeva Di Rosa, quando gli portavano un nuovo studente.

Allo stesso modo, Dorina pensa, e dunque parla, con la propria testa: la Federazione impone una decisione, lei vuole, dunque fa, l’opposto; la Nazionale fissa un ritiro, lei preferisce prepararsi in solitudine; la maggior parte degli atleti e delle atlete adora il villaggio olimpico e le gare in casa, lei, alle Olimpiadi, preferisce un albergo lontano da avversarie e compagne e, in Coppa del mondo, predilige le trasferte corte, dove si gareggia senza il peso delle aspettative e senza gli occhi pubblico addosso, dove dopo un weekend passato interamente in pedana si prepara la borsa e si torna quanto prima a casa.

Il tris in Coppa del Mondo e le Olimpiadi di Los Angeles 1984

Gli anni dopo l’Olimpiade moscovita segnano la definitiva consacrazione di Dorina Vaccaroni, che da promessa del fioretto femminile italiano diventa assoluta protagonista della scherma internazionale

Nella stagione post-olimpica conquista il bronzo nella gara a squadra dei mondiali di Clermont-Ferrand, l’argento nell’individuale degli Europei di Foggia 1981 e, soprattutto, la sua prima Coppa del Mondo, a soli diciotto anni. L’anno dopo, laureatasi campionessa europea nell’individuale di Mödling, è tra i grandi protagonisti anche ai Campionati del Mondo di Roma 1982, firmando l’argento nella gara individuale e l’oro in quella a squadre. Preludio a un altro biennio d’oro: nel ’83 vince entrambi gli ori in palio ai Mondiali di Vienna e la seconda Coppa del Mondo, che riconquista, per un totale di tre, nella stagione successiva, quella delle Olimpiadi di Los Angeles 1984.

Gli americani la chiamano “baby doll”: la descrivono come la più bella atleta in gara ai Giochi e in caso di vittoria, con le pedane di Long Beach distanti solo una ventina di miglia da Hollywood, è già pronto un film su di lei. Ma se per gli statunitensi è già una star, per l’Italia è più che altro una diva. E l’accezione è più che mai negativa: nessuno, tra compagne, vertici federali e stampa, le perdona l’insofferenza per il villaggio olimpico e l’aver pestato i piedi per ottenere, unica azzurra, una stanza singola.

La verità è che Dorina, al di là dei canonici problemi di insonnia pre-gara, è tutt’altro che al 100%. Dopo un quadriennio in cui raggiunge tutti i traguardi più ambiti da ogni atleta che abbia mai indossato una maschera e preso in mano un fioretto, è sì la grande favorita per la conquista dell’oro, ma ha cronici problemi alla gamba destra.

Un riacutizzarsi del distacco della spina iliaca anteriore superiore, che la perseguita dal ’82, la costringe a una routine differente: non corre, non si presenta su alcuna pista di atletica per saltare qualche ostacolo e nemmeno cammina per le strade angelene; rimane all’interno della propria camera, isolata, cercando di preservare quante più energie possibile. Fa così anche una volta salita in pedana: a Long Beach la sua scherma non è quella con cui ha conquistato tre Coppe del Mondo, non va avanti e indietro, non attacca fino a fondo pedana, resta quasi immobile, ferma, sempre in difesa. Il pubblico non gradisce, lei men che meno, ma non può fare altro. Rompe un fioretto nel primo assalto, lo sbatte ripetutamente per terra per sfogare tutta la propria frustrazione, e poi continua a tirare nell’unico modo che la sua gamba destra le concede.

Giungerà sino alle porte della finale, venendo sconfitta nel penultimo incontro del tabellone dalla tedesca Cornelia Hanisch; nella “finalina”, grazie a uno stoico 8-5 contro la romena Elisabeta Guzganu-Tufan, si aggiudicherà il bronzo: la sua prima medaglia olimpica

Una giovane Dorina Vaccaroni durante uno degli innumerevoli impegni internazionali (fonte: profilo Twitter ufficiale CONI)

Seoul 1988 e Los Angeles 1992: le medaglie nel Dream Team

Si dice che dopo Los Angeles voglia smettere; in realtà, Dorina Vaccoroni continua: ritrova la forma e, dunque, le medaglie, bronzo nella gara a squadre dei Mondiali di Losanna 1987, e molti podi in Coppa del Mondo.

Ai “Giochi del riscatto”, quelli di Seul 1988, però, il suo fisico la tradisce nuovamente: a perseguitarla, questa volta, è un infortunio al braccio. Il dolore la costringe a fermarsi al tabellone delle sedici nell’individuale, mentre un arbitraggio alquanto discutibile condanna la squadra del fioretto femminile azzurro all’argento nella gara a squadre

Ancora una volta, però, Dorina è nell’occhio del ciclone, perché è stata l’ultima azzurra ad arrivare in Corea del Sud; il ritardo è dovuto all’infortunio, ma, nuovamente, i contorni del suo personaggio, ripetutamente tracciati sulla stampa, offuscano il quadro generale. Una situazione che si ripeterà, con più enfasi, anche due anni dopo: durante la tappa di Coppa del Mondo di Goeppingen, Germania, infatti, l’antidoping la trova positiva. Poco importa che la positività derivi da uno sciroppo per la tosse, preso a causa di una leggera influenza, le domande già si sprecano: “oltre che una diva, adesso è anche un mostro?”. E il punto di domanda spesso non appare. 

Dopo non poche polemiche, tra una sequela di ricorsi e provette dai difformi risultati, Dorina Vaccaroni torna in pedana, dove nuovamente dimostra di essere né diva, né mostro, ma campionessa: vince il titolo del mondo nella gara a squadre di Lione 1990, permettendo all’ItalFioretto di confermarsi anche ai Mondiali di Budapest 1991, grazie a una prova impeccabile, una delle migliori in carriera.

Dorina si sente, forse anche a ragione, la migliore fiorettista italiana. La federazione, però, ha idee molto diverse: alle Olimpiadi di Barcellona 1992 viene convocata solo per la gara a squadre. E la vigilia catalana, se possibile, diviene ancor più travagliata delle precedenti: l’azzurra, che per tutta la stagione ha avuto più d’un problema a causa della tendinite, non si presenta al ritiro della Nazionale, un po’ per protesta, un po’ per stare vicino alla madre, che di lì a poco si sottoporrà a un intervento; a Barcellona, inoltre, arriva per ultima e decide di non alloggiare al villaggio olimpico, ma in un hotel nelle vicinanze.

In gara, insieme alle compagne azzurre, si dimostra ancora tra le migliori del circuito e l’Italia, che nell’individuale festeggia lo storico titolo di Giovanna Trillini, fa il bis, conquistando la medaglia d’oro anche nella kermesse a squadre. La festa azzurra si protrae fino a tarda notte; per tutte le fiorettiste, tranne che per Dorina Vaccaroni, che abbandona le compagne dopo il primo brindisi, tornando in albergo, dove ha già le valigie pronte per rincasare immediatamente in Italia. Non senza qualche commento piccato, contro quello che ritiene essere “un sistema” dove “ti usano e poi ti gettano”, senza nessuna garanzia su futuro e presente; è stata la sua ultima gara in azzurro, dice: da quel momento rappresenterà il Principato di Monaco.

Le fiorettiste medaglia d’oro a Barcellona 1992 (fonte: pagina Facebook ufficiale FederScherma)

Dalla pedana alla bicicletta: la seconda carriera di Dorina Vaccaroni

Dorina Vaccaroni, in realtà, tornerà in pedana. E continuerà a rappresentare i colori italiani, con cui vincerà un’ultima medaglia, un bronzo nella gara a squadre dei Mondiali di Essen 1993. Dopo qualche mese lascerà l’attività agonistica; salvo tornare, nel 1998, per vincere i titoli italiani di terza e quarta categoria. 

“Diva” e “capricciosa”, “testarda” ed “egoista”, Dorina Vaccaroni è stata descritta in molti modi; molto si è detto del suo difficile rapporto con la federazione, tanto si è scritto sul suo matrimonio lampo con il calciatore del Milan Andrea Manzo e forse, a volte, ci si è dimenticati per citarla per ciò che è indubbiamente stata: una campionessa. Tre medaglie olimpiche, una per metallo; cinque titoli del mondo,per un totale di nove medaglie; un oro e un argento a livello continentale; e tre Coppe del Mondo, di cui due consecutive. Soprattutto, Dorina Vaccaroni ha lasciato un segno, indelebile, nella storia della scherma azzurra e internazionale

Abbandonate le pedane, la veneziana si è dedicata dal 2000 a un’altra sua grande passione, il ciclismo: corse su strada, granfondo e ultracycling. Specialità, quest’ultima, di cui nel 2016 è stata campionessa italiana. A dimostrazione dell’estro e della determinazione di un’atleta fuori dal comune, formatasi in uno sport, la scherma, dove, stando alle sue parole «la testa lavora tanto quanto il resto del corpo, e deve essere veloce, veloce… Devi odiare, certo; ma non con rabbia, perché la lucidità è quel che conta: la freddezza con cui, in un attimo, scegli il colpo vincente. Solo nel pugilato si richiede all’atleta lo stesso impegno fisico e mentale». 

In pedana punse come un’ape, in bici, ancora oggi, vola come una farfalla e nella vita, nel bene e nel male, nell’acclamazione e nella critica, è sempre rimasta sé stessa. Non una “diva”, ma semplicemente Dorina Vaccaroni. Semplicemente, campionessa. 

Dorina Vaccaroni durante una gara in bici (fonte: profilo Twitter ufficiale di Dorina Vaccaroni)

ULTIME NOTIZIE SPORTIVE AGGIORNATE SU AZZURRI DI GLORIA

News e storie di sport a cinque cerchi tutti i giorni sul nostro sito.

Scopri tutte le storie olimpiche e news anche sui nostri social: FacebookTwitterInstagramYouTube.

Niki Figus
Giornalista pubblicista. Naufrago del mare che sta tra il dire e il fare. Un libro, punk-rock, wrestling, carta e penna.

Potrebbero anche piacerti...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Altro in:Scherma