Fonte foto: Repubblica.it

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Se Rio De Janeiro è sempre più vicina, a quattro mesi dall’inizio dell’edizione 2016 delle Olimpiadi, nel Team Italia parte, come ogni vigilia che si rispetti, il toto-medaglie. Gli azzurri partono con l’obiettivo di raggiungere e, magari, superare quota 28 medaglie, un bottino di tutto rispetto formato da 8 ori, 9 argenti e 11 bronzi che è valso al nostro Paese l’ottavo posto nel medagliere 2012.

Se dal punto di vista generale è auspicabile battere lo score di Londra, dal punto di vista individuale c’è un record che resiste scolpito nelle memorie degli sportivi italiani: è quello di Edoardo Mangiarotti, storico schermidore azzurro capace di vincere ben 13 medaglie olimpiche in carriera.

Figlio dello schermidore internazionale Giuseppe Mangiarotti, Edoardo nasce nel piccolo paesino brianzolo di Renate, il 7 aprile 1919: il padre, consapevole di essere a capo di una generazione di fenomeni, completata dagli altri due figli, Mario e Dario, cresce Edoardo come atleta ambidestro, nonostante il piccolo fosse chiaramente destro.

L’intuizione di Giuseppe rese Edoardo uno spadista versatile e praticamente indistruttibile: quando infatti si faceva male alla mano principale, lui riusciva tranquillamente a fare affidamento sull’altra. Questa sua dote, però, non era utile solo in casi di estrema necessità: la sua ambivalenza, infatti, gli permetteva di cambiare guardia infinite volte nell’arco delle competizioni, senza dare così punti di riferimento agli avversari.

A soli 17 anni, si capì subito che aveva la stoffa del predestinato: alle Olimpiadi di Berlino nel 1936, convocato come membro “junior” della squadra di spada maschile, formata da  Franco Riccardi, Saverio Ragno e Giancarlo Cornaggia Medici che nelle prove individuali avevano monopolizzato il podio, chiamato dal CT Nedo Nadi a sostituire il fratello Dario, risulta decisivo nella finale per l’oro disputata contro la Francia.

«Nell’incontro decisivo con la Francia vinsi per 3-0 contro Pécheux, Dulieux, Cattiau e feci 3-3 con Schmetz. Toccavo sempre con la stessa azione, presa di ferro, incontro di quarta e fleche. Le premiazioni avvenivano per tutte le discipline allo stadio Olimpico. Noi fummo premiati da Rudolf Hess», raccontò qualche anno più tardi in un’intervista, ricordando anche la stizza di Hitler che aveva assistito alla storica vittoria di Jesse Owens.

Fu solo la prima di una lunga serie di medaglie: ai Giochi di Londra del 1948, le prime del Dopoguerra, arriva la prima medaglia nell’individuale, un bronzo nel torneo di spada dominato da Luigi Cantone. In quell’occasione, inoltre, perse l’unico oro della spada a squadre in cinque partecipazioni alle Olimpiadi, dovendosi accontentare dell’argento anche nel fioretto a squadre.

Il primo oro individuale arriverà solo a Helsinki, nell’edizione del 1952, quando ebbe la meglio nel mini-girone finale sul fratello Dario, medaglia d’argento, e il lussemburghese Beck. Helsinki fu l’edizione che lo consacrò, grazie alla vittoria anche nella gara a squadre assieme al fratello.

Il successo ebbe un eco talmente importante che fu scelto come portabandiera prima alle Olimpiadi di Melbourne ‘56, dove conquistò l’oro nel fioretto e nella spada a squadre, a cui aggiunse poi il bronzo della prova individuale, prima di ottenere lo stesso onore nelle Olimpiadi Italiane di Roma 1960.

Anche nella capitale italiana si rivela cannibale: oro della spada a squadre e l’argento del fioretto a squadre, acclamato dalle folle.

Era quello, secondo lui, il momento giusto per ritirarsi dalle scene: il bottino finale recita ben 13 medaglie olimpiche, di cui 6 d’oro, 5 argenti e 2 bronzi, alle quali vanno aggiunti i 13 titoli vinti nei Mondiali, e le 3 Universiadi vinte.

Terminata l’attività professionistica, collabora a lungo con la Gazzetta dello Sport, per cui scriverà a lungo la rubrica riservata alla scherma, ricoprendo inoltre il ruolo di Segretario generale della FIE dal 1980 al 1984.

Si spense a Milano il 25 maggio 2012, forse con un unico rimpianto: chissà quante altre medaglie avrebbe potuto vincere se la Seconda Guerra Mondiale non avesse intralciato i suoi piani.

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