22 anni fa ci lasciava Fabio Casartelli, promessa del ciclismo azzurro portata via da una tragica caduta nella discesa del Portet d’Aspet: il nostro ricordo del campione olimpico di Barcellona 1992.

Fabio Casartelli

Fabio Casartelli in azione durante le Olimpiadi di Barcellona 1992

UN LAMPO OLIMPICO: LA BELLISSIMA VITTORIA DI FABIO CASARTELLI A BARCELLONA 1992

Un sorriso coinvolgente, di quelli che ti restano impressi e non ti mollano più: è il sorriso di chi sa di aver ottenuto la vittoria che può cambiarti la carriera e la vita, è il sorriso di Fabio Casartelli al termine della gara in linea delle Olimpiadi di Barcellona 1992. È il 2 agosto 1992 e siamo in un altro ciclismo, che ”obbligava” le nazioni a schierare tre corridori Under-23 nella prova a cinque cerchi e non proponeva un circuito eccessivamente impegnativo, adatto ai mille attacchi ”agevolati” dall’impossibilità di controllare la corsa con tre miseri corridori (poi portati a cinque pro’ ai giorni nostri). il ct Giosuè Zanini, per rispondere alle generazioni d’oro altrui (quell’Olimpiade vedrà al via corridori noti a tutti, da Zabel, a Dekker, a un Armstrong che sarà campione mondiale nel 1993), seleziona il campione mondiale U23 Mirco Gualdi, la promessa Davide Rebellin (che corre ancora, a 46 anni) e poi lui, quel Fabio Casartelli che è reduce da una grandissima annata, e diventa l’outsider che non ti aspetti. Fabio è un buonissimo corridore, un passista veloce (dall’ottimo spunto) che in futuro potrebbe realizzare grandi cose nelle classiche e sa reggere sugli strappi brevi e sulle salite pedalabili, e trova a Barcellona la classica giornata perfetta, aiutato anche dalla condotta di gara degli azzurri: Gualdi avvia la fuga buona, ma non appena si accorge che la gamba dell’appena rientrato Casartelli è migliore, si mette a disposizione, facendo da stopper con Rebellin a tutti i tentativi d’attacco nel gruppo. La fuga buona è così quella con Fabio Casartelli, Erik Dekker e il lettone Dainis Ozols, che arriva fino in fondo sul tracciato spagnolo: l’Italia intera, ancora scossa dagli eventi politici di quell’anno e dalle stragi di Capaci e di Via d’Amelio, si ferma per qualche ora a seguire la volata di quel ragazzo dai riccioli neri, che diventa il simbolo della rinascita di un paese capace di farsi del male da solo in ogni modo, forma e maniera. Uno sprint che viene raccontato dalla coinvolgente voce di Adriano De Zan, che accompagna Fabio Casartelli fino alla vittoria: ”Ozols lancia lo sprint con Dekker in seconda posizione e Casartelli in terza. Siamo alle fasi conclusive. Casartelli ora è in seconda posizione. Siamo a trecento metri e nessuno dei tre per ora lancia lo sprint perché tutti e tre sanno di essere estremamente veloci. Ecco ora che parte Casartelli, è partito Casartelli! È Casartelli in testa! Casartelli è medaglia d’oro! Medaglia d’argento per l’olandese, bronzo per il lettone”. Un successo autorevole, che regala a questo ragazzo comasco di 22 anni (nato il 16 agosto 1970) la maglia a cinque cerchi di campione olimpico: Casartelli esulta e l’Italia si commuove per il suo grande successo, il quarto nella gara olimpica (non vincevamo dal 1968, torneremo a farlo con Bettini), ma soprattutto il preludio a una carriera che doveva essere radiosa e piena di soddisfazioni. Purtroppo, non sarà così, perchè la carriera di Fabio verrà tragicamente spezzata in un pomeriggio di metà luglio.

Fabio Casartelli

Fabio Casartelli con la maglia di campione olimpico

QUEL MALEDETTO POMERIGGIO SUL PORTET D’ASPET: L’EPILOGO DELLA CARRIERA DI FABIO CASARTELLI

È il 18 luglio del 1995, siamo nel bel mezzo del Tour de France che verrà vinto da Miguelon Indurain (2° Zulle, 3° Riis) e riparte dopo il giorno di riposo seguito alla fantastica vittoria di un giovane Marco Pantani (maglia bianca di quella Grande Boucle): Fabio Casartelli corre quell’edizione della corsa francese con la Motorola di Jim Ochowisz, e sta provando a rilanciare una carriera che non era proseguita come si aspettava. Qualche difficoltà di troppo nel passaggio ai pro’, le avventure senza particolari sussulti con la Ceramiche Ariostea e la Zg Mobili, e poi la grande chance con la compagine con base negli USA: proprio con la maglia della Motorola Fabio Casartelli spera di rilanciare la sua carriera e imporsi di nuovo all’attenzione mondiale, rinverdendo quel successo olimpico, ma non sa che il destino ha in serbo per lui un altro finale. Si corre la 15a tappa del Tour, con partenza da Saint Girons e arrivo a Cauterets, e le telecamere internazionali indugiano su una tremenda caduta avvenuta al km 35, mentre si affrontava a 80km/h la discesa del Portet d’Aspet: si vedono molti corridori a terra, alcuni addirittura caduti nel fosso, e poi gli occhi di tutti cadono su un corpo inerme, quasi in posizione fetale. Si pensa subito a qualcosa di grave, ma non appena arriva il drammatico zoom, la situazione è chiara: la strada è madida di sangue, le condizioni di Fabio Casartelli, che nella caduta collettiva ha sbattuto violentemente la testa contro uno dei tanti piloncini in cemento posizionati a bordo strada, disperate. Il solo rileggere i report dell’epoca, in particolare quello del collega Pier Bergonzi della Gazzetta dello Sport, ci ha fatto venire i brividi e ci ha commosso: dopo la tragica caduta scatta la corsa contro il tempo dei medici, ma Fabio subisce tre arresti cardiaci nel viaggio in elicottero verso Tarbes (venendo rianimato con 20 fiale d’adrenalina) e finisce in coma irreversibile, spegnendosi definitivamente alle 14 del giorno stesso. È lo stesso Adriano De Zan, che aveva commentato il suo grande successo, a dare la tragica notizia, in un tremendo ”cerchio che si chiude” e che lascia un bambino di due mesi, il piccolo Marco (nato il 13 maggio 1995), senza papà: Fabio Casartelli è l’ennesima vittima di quello che ora può sembrare un ”altro ciclismo”, ma che in realtà è quello che abbiamo vissuto tutti da piccoli. Niente casco, visto come un ostacolo/fastidio, e dunque grossi rischi ad ogni caduta: il caschetto diventerà obbligatorio solo nel 2005, dopo due anni di transizione (seguiti alla morte di Kivilev nella Parigi-Nizza 2003) nei quali lo si poteva togliere solo nei km precedenti gli arrivi in salita, ma ormai era troppo tardi e nulla poteva riportare in vita Fabio Casartelli, per il quale non sono mancati gli omaggi e gli attestati di stima.

Il giorno dopo la sua morte, sulla spinta dei corridori italiani e di Tony Rominger (”Gioire e fare premiazioni, brindisi e balletti quando un ragazzo di ventiquattro anni, uno di noi, è morto sulla strada durante la corsa? Qualcuno deve dare un segnale per iniziare il cambiamento. Serve un’azione dimostrativa”), il gruppo decise di percorrere i 237km della tappa a ranghi compatti, come in una lunga processione verso il traguardo, tagliato in testa dai corridori della Motorola e in particolare da Andrea Peron, ex compagno di stanza e grande amico di Fabio: un gesto toccante, come toccanti sono le mani alzate al cielo di Lance Armstrong dopo la vittoria nella 18a tappa, dedicata proprio all’amico e compagno di squadra. Era un altro Lance, un corridore ”umano” che viveva ancora le corse come un gioco e provava emozioni contrastanti (ben lontano dal mostro del doping degli anni Duemila), e gli omaggi a Fabio arrivano da tutte le componenti del ciclismo: il Tour lo omaggia con una stele posizionata nel punto della caduta, di fronte alla quale i corridori si fermano a pregare ogni volta che la Grande Boucle passa da quelle parti, mentre Forlì gli dedica una pista ciclabile e la Federciclismo lo omaggia dedicandogli il GP Capodarco, una delle più famose corse della stagione U23. Nasce anche la Fondazione Fabio Casartelli, che organizza ogni anno una gran fondo in suo onore e si batte ”affinchè Fabio rimanga, PER SEMPRE, vivo nella memoria”: un obiettivo ampiamente raggiunto, perchè Fabio non è mai stato dimenticato, e il suo successo olimpico è ancora scolpito nella memoria di tutti. Anche a quasi 25 anni da quell’oro a sorpresa, e a 22 anni dalla sua tragica morte…

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Marco Corradi
31 anni, un tesserino da pubblicista e una laurea specialistica in Lettere Moderne. Il calcio è la mia malattia, gli altri sport una passione che ho deciso di coltivare diventando uno degli Azzurri di Gloria. Collaboro con AlaNews e l'Interista

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