Oggi ricorre un triste anniversario nel mondo del ciclismo. Quattordici anni fa moriva Marco Pantani in un residence di Rimini. Riviviamo quel tragico 14 febbraio 2004, con uno sguardo anche alle gesta del Pirata.

Marco Pantani in Maglia Rosa al Giro d’Italia 1999

QUATTORDICI ANNI SENZA MARCO PANTANI: IL RICORDO

14 febbraio 2004, a Rimini c’è un uomo solo. No, non è al comando di una corsa ciclistica come il celeberrimo Fausto Coppi. Purtroppo, è isolato dal resto del mondo nella stanza del residence “Le Rose”. Marco Pantani vive le sue ultime ore in quell’hotel: dopo la tarda mattinata, sparisce dalla vista dei presenti, si chiude in camera e viene ritrovato morto nella prima serata. Nessuno sa esattamente cosa sia successo in quel ristretto lasso di tempo. Ancora adesso permangono polemiche sulla conduzione delle indagini, con il fardello del dubbio di un possibile omicidio, in sostituzione dell’ipotetico suicidio per overdose di cocaina, teoria accettata da coloro che hanno archiviato il caso.

Cosa resta di Marco Pantani a distanza di tanti anni da quel triste e misterioso 14 febbraio? Amarezza e tristezza per l’incapacità di dare un perché valido alla sua scomparsa, orgoglio e nostalgia per aver goduto delle prodezze di un fuoriclasse irripetibile. Il Pirata è tutt’ora un mito per gli amanti del ciclismo. Si intuisce dal fremito con cui un campione come Alberto Contador osa anche solo nominare il suo nome. Si comprende dal rispetto ancora vigente con cui ragazzi, che hanno solamente sfiorato la sua epoca intravvedendolo negli ultimi bagliori, come Damiano Cunego, si accostano al ricordo della sua figura. Addirittura, la sua immagine è diventata trasversale, al di là della disciplina, al punto che diversi sportivi praticanti attività differenti dal ciclismo dichiarano di aver preso spunto da lui.

Restano attimi, immagini, colori. C’è il bianco della maglia della Carrera, immacolato di timori reverenziali come era Marco in quel celeberrimo Giro d’Italia 1994, al punto da domare Mortirolo ed Aprica nella stessa giornata e salire sul podio in seconda posizione, battuto solo da Eugenij Berzin, ma davanti a Miguel Indurain, il campione spagnolo con cui avrebbe poi dato vita ad una grande rivalità. C’è il rosso del sangue rimesso nei tanti incidenti e della rabbia verso gli organizzatori del Tour de France del ’95, rei di non aver avvisato i corridori della tragedia di Fabio Casartelli. C’è il blu che tanto risaltava nella divisa della Mercatone Uno del ’97, anno dell’incredibile scalata record sull’Alpe d’Huez, coronata dall’urlo liberatorio in faccia alla sfortuna, battuta e staccata lungo i 21 infernali tornanti del boa d’asfalto. C’è il rosa o, per meglio dire, la Rosa, indossata per la prima volta al termine della leggendaria tappa di Asiago-Selva Val Gardena del 1998 e dismessa solamente nella funesta mattina di Madonna di Campiglio di dodici mesi dopo. Apice e declino della carriera di un corridore e della vita di un uomo. C’è il giallo della Maglia di leader al Tour, dei Campi Elisi e dell’Italia intera, completamente impazzita di gioia nell’incredibile estate ’98. Ventitré  anni dopo Felice Gimondi, un atleta azzurro saliva sul gradino più alto del podio parigino. Pantani, il piccolo scricciolo di Cesenatico, meglio di Jan Ullrich, gigante tedesco dalla potenza smisurata. Giallo era anche il colore della maglia di Lance Armstrong quel giorno sul Mont Ventoux nel 2000. Avversario prima e nemico poi di Marco nel corso della carriera, forse, in un futuro prossimo, avrà modo di riappacificarsi con la famiglia del cesenate in un incontro che potrebbe fare solamente bene alla memoria del Pirata, uno dal sorriso facile e spontaneo. Il contrario del nero, tetro colore dello sfondo del televideo e delle lettere sui titoli dei giornali dell’indomani del 14 febbraio 2004 che annunciano la sua scomparsa.

Eppure, se ancora oggi parliamo del Pirata con gli occhi lucidi e con la voce vibrante, vuol dire che quel buio non ha intaccato minimamente l’epica. Dal Galibier allo Zoncolan, dal Mortirolo al Gran Sasso, dall’Alpe d’Huez al Mont Ventoux, da Montecampione a Courchevel, da Oropa all’Alpe di Pampeago: su ogni salita riecheggia ancora oggi il suono della sua pedalata nel fragore della folla. Una massa che sospinge un uomo piccolo di corporatura, ma dal cuore enorme.

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Federico Mariani
Nato a Cremona il 31 maggio 1992, laureato in Lettere Moderne, presso l'Università di Pavia. Tra le mie passioni, ci sono sport e scrittura. Seguo in particolare ciclismo e pallavolo.

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