Fonte foto: Wikimedia

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Le eliminazioni di Valentino Manfredonia, Carmine Tommasone , Clemente Russo e il ritiro anticipato per infortunio di Vincenzo Mangiacapre, riflettono una situazione inquietante e pongono un quesito importante al movimento pugilistico italiano: che fine ha fatto la boxe dilettantistica italica? I risultati ottenuti fino a questo momento dalla spedizione italiana sono a dir poco allarmanti, e non possono essere solamente fatti ricondurre al valore degli avversari (peraltro alcuni molto modesti). Come si è giunti a questa situazione? La truppa italiana è sempre riuscita a portare a casa dei risultati puntando su alcuni atleti di sicuro affidamento (su tutti il massimo Clemente Russo e il supermassimo Roberto Cammarelle). Il primo con la partecipazione olimpica di Rio ha preso parte a quattro edizioni olimpiche, mentre il gigante di Cinisello Balsamo ha preferito, saggiamente, appendere i guantoni al chiodo.

Già questo dato dovrebbe far riflettere. Ci siamo crogiolati sui successi del passato, abbiamo rinnovato qualche elemento, ma  ci siamo dimenticati tutto il resto. In questo modo si è pensato esclusivamente a puntare su alcuni cavalli da corsa, trascurando la formazione di altri giovani talenti. Il nostro pugilato è esclusivamente mirato al raggiungimento di obiettivi in orbita dilettantistica, e questa politica ha creato una spaccatura tra dilettanti e professionisti. Tempo fa, quando il pugilato in Italia era una cosa seria, dopo una partecipazione alle Olimpiadi, un pugile decideva di passare tra i pro per completarsi. Negli ultimi vent’anni, invece, il dilettantismo non è più stato un punto di partenza, ma di permanenza. Ieri, dopo l’eliminazione contro il tutt’altro che irresistibile Tishchenko, Clemente Russo si è scagliato, tra gli altri, anche contro Patrizio Oliva, ex campione olimpico e mondiale (quello vero), e ora commentatore tecnico per la Rai. Russo ha utilizzato parole forti nei confronti di Oliva, colpevole di non capire nulla di pugilato.

Con questa sparata Clemente non ha fatto una bella figura, e ha dimostrato ancora una volta l’arroganza e la prepotenza del mondo pugilistico in canottiera. E’ vero che i giudici che hanno emesso il verdetto ieri sera non sono stati all’altezza del valore e del prestigio di questa competizione, ma se si esclude il primo round (che per ragioni ignote è stato assegnato al russo), nel complesso il verdetto risulta essere più condivisibile. Polemiche inutili, specialmente se si ha sotto gli occhi l’esordio scialbo di Russo contro il tunisino Chaktami. Adesso bisogna guardare avanti. In gara sono rimasti Irma Testa e Guido Vianello, e qualora nessuno di questi riuscisse ad occupare un posto sul podio allora il fallimento sarebbe totale. Nemmeno la presenza di un pugile professionista come Tommasone è riuscito ad evitare la disfatta. Il pugile irpino, nonostante una buona prestazione, dove ha mostrato al resto della truppa alcune nozioni di difesa (questa sconosciuta), si è dovuto arrendere al cubano Alvarez. Il movimento è in affanno, i maestri sono sempre meno insegnanti e i pugili sempre più in difficoltà contro i colleghi stranieri.

E chissà se la soppressione delle macchinette segna punti non abbia fatto emergere carenze tecniche che prima venivano celate da un sistema di conteggio anomalo e perverso . Forse alcuni atleti sono stati sopravvalutati, ma non ce ne siamo accorti. Aggiungiamoci un’altra considerazione: si è detto che la decisione di eliminare il caschetto era stata presa per dare maggiore spettacolo e per cercare di “avvicinare” il combattimento dilettantistico a quello dei pro. Alcuni non hanno preso bene questa scelta, asserendo che sarebbe stata rischiosa per i pugili. Ebbene, noi crediamo che il rischio faccia parte di questo sport, così come la violenza, e che questa decisione potrà portare a sviluppi positivi dal punto di vista delle prestazioni sul quadrato, perché se il casco ha il potere di rafforzare la protezione di un pugile, l’assenza di questo strumento potrebbe avere come conseguenza lo sviluppo e il potenziamento della fase difensiva (che è la base della nobile arte). L’assenza del caschetto ha messo in luce delle lacune mostruose dei nostri atleti, quindi, questa decisione potrebbe consentire al nostro movimento di svilupparsi in modo coretto anche dal punto di vista tecnico. Sempre che ce ne sia la voglia, chiaramente.

Ora le speranze sono tutte riposte su Irma Testa (prima boxeur a partecipare a un’Olimpiade) e Guido Vianello, due grandi talenti che possono ridare lustro al pugilato di casa nostra, in decadimento continuo. Irma e Guido sono due atleti su cui ripartire. La Federazione deve assumersi le proprie responsabilità, e cercare di ridar vita a un progetto serio e ambizioso, e con una programmazione scientifica. Bisogna porre delle regole solide in modo tale da evitare che un pugile prenda parte a più edizioni, favorendo in questo modo il ricambio generazionale e lo sviluppo progressivo di questa disciplina nel nostro paese. Il pugilato dilettantistico e quello professionistico  sono sport completamente differenti. Occorre una dose massiccia di qualità e competenza. Si può fare, ma bisogna rimboccarsi le maniche e cominciare tutto daccapo. Indipendentemente dai risultati che otterranno Irma Testa e Guido Vianello bisogna invertire la rotta intrapresa negli ultimi tempi se si vuole tornare ai fausti di un passato che appare sempre più distante…

 

 

Marco De Silvo
Classe 1991, malato di boxe e calcio, segue con interesse anche altri sport. Oltre a scrivere per Azzurri di Gloria, collabora con Boxe-Mania e Bandiera a Scacchi.

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