Le Olimpiadi e lo sport raccontano storie davvero straordinarie: pagine meravigliose, imprese leggendarie, in un intreccio di emozioni e ricordi che finiscono per lasciare tracce indelebili nelle memorie di ogni appassionato sportivo. 

Fonte: Wikipedia

GIORGIO BAMBINI, DALLE POSTE AL RING

Tra le più belle favole dello sport olimpico c’è sicuramente quella di un postino di La Spezia, Giorgio Bambini, che nel 1968, ai Giochi olimpici di Città del Messico, ha scritto una grande pagina sportiva. Nel 1967, a un anno dalla sua partecipazione ai Giochi, il pugile ligure conquista l’oro ai Giochi del Mediterraneo disputatisi a Tunisi, categoria pesi massimi (superando in finale il greco Efstathios Alexopoulos), e poco prima anche il titolo italiano nei dilettanti.

LE OLIMPIADI DEL 1968: IL MESSICO COME SCENARIO POLITICO

Il 1968 è l’anno dei moti giovanili e delle contestazioni che oltrepassano le barriere della politica fino a lambire l’arte e lo sport. Le Olimpiadi messicane lasceranno negli occhi di tutti gli sportivi un gesto eclatante esibito da Tommie Smith e John Carlos: i due corridori avevano alzato il pugno chiuso in un guanto nero, in sostegno del movimento delle Pantere nere, sul podio dei 200 metri piani. Esattamente quattro anni prima, un giovanissimo Cassius Clay, dopo la conquista del mondiale dei massimi contro il terribile Sonny Liston modificava il suo nome in Muhammad Ali. Ed è in questo clima che il nostro Bambini combatte. Il pugile allievo di Tito Rondinetti, fin lì imbattuto, arriva a disputare la finale con estrema facilità, battendo ai punti il tedesco federale Renz e il bulgaro Pandov.

L’INCONTRO CON GEORGE FOREMAN

Tra lui e la finale, però, c’è un ostacolo enorme: George Foreman. Il colosso americano è dotato di un pugno soporifero, è grezzo, ma devastante. “Big George” (che lo scorso 10 gennaio ha compiuto 68 anni), diventerà in seguito campione del mondo dei massimi nel 1973, spodestando un grande massimo, Joe “Smokin’ Joe” Frazier, il rivale numero uno di Ali, andando poi ko nel 1974 per mano del labbro di Louisville nel mitico “Rumble in the Jungle”. Che bei tempi per la boxe, ma questa è un’altra storia.

Si giunge così al 26 ottobre 1968. L’americano ha solo diciannove anni, Bambini ventitré e un fisico degno di rispetto: 1,92 cm per 83 kg. Insomma, almeno sulla carta, ce la si gioca ad armi pari. Il ring, come sempre accade, emetterà un’altra sentenza. Un verdetto chiaro e incontrovertibile: Foreman dominò l’incontro sin dai primi secondi e, alla terza ripresa, dopo un lavoro estenuante, mandò al tappeto il nostro portacolori che, seppur rialzatosi, tornò all’angolo decidendo di non prendere più parte al combattimento. Si racconta che alle continue insistenze dei tecnici italiani, che lo volevano subito pronto a tornare a combattere, Bambini avesse risposto: “Fossi matto? Quello mi ammazza!”. La storia seguente gli avrebbe dato ragione. Nonostante la sconfitta, l’azzurro poté vantarsi di essere l’unico atleta italiano della spedizione ad andare a medaglia per quanto riguarda la nobile arte: fino ad allora era andata peggio solo a Parigi 1924.

DOPO LE OLIMPIADI

Giorgio ebbe anche una breve carriera nei professionisti, vincendo tutti i match, 15, di cui cinque prima del limite, prima di decidere di appendere con anticipo i guantoni al chiodo per tornare a fare il postino. Quella contro Foreman fu l’unica sconfitta in carriera. Bambini è scomparso il 13 novembre 2015 all’età di 71 anni.

Marco De Silvo
Classe 1991, malato di boxe e calcio, segue con interesse anche altri sport. Oltre a scrivere per Azzurri di Gloria, collabora con Boxe-Mania e Bandiera a Scacchi.

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