Freddo, neve, collegamenti per lo più interrotti e due sci come amici, fidanzati, mezzo di trasporto e attrezzo sportivo. Scordiamoci di smartphone, smartwatch, tablet e tutto il resto, almeno per un attimo, e immaginiamoci in un freddo inverno piemontese. Ci troviamo a Vinadio, per la precisione, in provincia di Cuneo, è qui che nasce la più grande sciatrice di fondo che la storia dello sci italiano abbia mai conosciuto: Stefania Belmondo. Condite il tutto con un po’ (molta) testardaggine ed il gioco è fatto: la storia di Stefania può essere narrata.

Stefania Belmondo nel momento in cui accende il braciere olimpico a Torino 2006

La Belmondo e lo sci: Odi et Amo

Freddo, neve e collegamenti per lo più interrotti. Scusate la ripetizione ma deve essere ben chiara una cosa prima di continuare: gli sci nell’infanzia di Stefania erano più di uno svago, un diletto, uno sport. Erano una necessità. I primi sci “Erano di legno, rossi. Me li costruì mio padre e ancora oggi sono appesi fuori dalla mia abitazione”. Insomma, il primo amore non si scorda mai. Lei, piccola e testarda viveva questo rapporto con la neve e lo sci in maniera particolare. Amava quei paesaggi bianchi, incantati, candidi e puri. Odiava però quella sensazione di stanchezza una volta arrivata a destinazione. Mollare? Mai, per una come Stefania. A volte però vedeva le slitte, sfrecciare accanto a lei come macchine velocissime e, non nega, provava un pizzico di invidia per la sensazione di rilassamento e serenità (e per la velocità) dei suoi passeggeri. Era però uno strumento proibito a casa Belmondo e allora, sci ai piedi e racchette in mano, in giro per il paese prima, l’Italia dopo, il mondo poi.

Le prime gare, le vittorie e la prima esperienza Olimpica

Le slitte andavano veloce, vero. Ma anche lei non scherzava, e se ne accorsero in molti. Nel 1982 entrò a far parte della squadra del Piemonte di sci e, sin da subito, si resero conto che aveva qualcosa di speciale. Vittorie su vittorie, anche quando le avversarie erano più grandi di età e di statura. Quella sensazione di stanchezza l’aveva forgiata a pennello per lo sci di fondo, il suo carattere testardo e puntiglioso non avrebbe mai permesso ad un po’ di acido lattico di avere la meglio sulla sua forza d’animo ed i risultati parlavano da soli. In poco tempo passa alla squadra nazionale di sci di fondo e arrivano le prime medaglie iridate insieme alla prima apparizione alle Olimpiadi di Calgary 1988. Ma sono gli anni ‘90 quelli che segnano l’ascesa mondiale di Stefania e quelli che regalano a lei, ma anche allo sci azzurro, le più grandi soddisfazioni. Anni segnati dai successi, dagli infortuni e dalla rivalità con Manuela Di Centa.

Le vittorie, gli infortuni e la rivalità con Manuela di Centa

Calgary 1988 era stato un assaggio di quel che sarà, un’edizione delle Olimpiadi invernali tanto per prendere confidenza con quel mondo tanto grande ed affascinante che sembra indomabile, ma che Stefania, di lì a breve, dominerà. Ogni bambino sogna di disputare le Olimpiadi, figuriamoci di vincerle. Tante volte con ogni probabilità la piccola Stefania con gli sci rossi ai piedi mentre tornava a casa, stanca ed infreddolita, per non sentire la fatica immaginava di essere in una gara valida per l’oro olimpico. Tutti lo fanno, che sia sci, calcio, basket, atletica o altro, tutti i bambini sognano ed immaginano accanto a sè un pubblico in festa, una vittoria storica, che regala la gloria eterna. Ecco, Stefania tutto ciò che i bimbi sognano lo ha messo in atto, ad Albertville 1992 nella gara più lunga e difficile: la 30 km. Ma la sua carriera non è stata tutta in discesa, il talento da solo non basta. Infortuni, di cui due molto gravi, si sono frapposti tra la Belmondo e l’immortalità sportiva, ma lei non ha mai dato alla cattiva sorte la possibilità di vincere, mai. Neanche quando, operata al dito del piede, per i medici difficilmente si sarebbe potuta più mettere gli scarponi ai piedi. Ma lei no, non ha mai mollato, sin da bambina, ed ha continuato a farlo. Complice anche la rivalità, storica, con Manuela Di Centa, che nel frattempo si era messa in luce finendo svariate volte davanti a Stefania stessa. una coppia d’oro dello sci italiano, orgoglio della nazione e compagne di squadra nella staffetta plurimedagliata del fondo azzurro. Tutta quella fatica per tornare a casa ogni giorno le aveva insegnato la cultura del lavoro che, unita al talento, le ha permesso di vivere dieci anni d’oro. Oro, nel vero senso del termine perchè è a Salt Lake City 2002 che Stefania compie il capolavoro più grande, l’oro olimpico nella 15 km, a 33 anni e con due gravi infortuni alle spalle.

Amore per lo sport, una fiamma mai spenta,  accesa come il braciere di Torino 2006

“C’è chi lo sport lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione, Stefania Belmondo nè l’uno nè l’altro lei lo faceva per passione” potremmo dire (semi)citando De Andrè. Stefania è una di quelle facce pulite che dallo sport ha avuto tanto ma a cui ha dato tutto. Esemplare nell’impegno, nella tecnica e nelle dichiarazioni, sempre. Un mix di talento e classe (sportiva e non) che ci deve rendere orgogliosi, come italiani, al di là delle medaglie che ha portato al nostro medagliere. Parlavamo di sogni dei bambini, quello di vincere un oro olimpico. Ed una volta vinto? Il sottoscritto, purtroppo, non può saperlo con certezza ma sicuramente la soddisfazione di accendere un braciere olimpico non ha eguali. Detto, fatto. Chi se non lei, d’altronde, come ultimo teodoforo dell’edizione di Torino 2006? Nessuno meglio di lei, nessuno come lei. Simbolo di sport, tenacia, impegno.

Stefania Belmondo e quello spirito olimpico che, dentro di lei, è incarnato alla perfezione. Adesso lo sci lo commenta in televisione, nella speranza che qualcuno apprenda da quel pozzo di tecnica e saggezza.

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