Ha vinto l’argento con l’Italbasket ad Atene 2004 a soli 22 anni, in seguito ha militato in molte big del nostro basket e ora sta chiudendo la sua carriera nelle fila del Derthona Basket, società seconda nell’A2 Ovest: abbiamo intervistato Luca Garri al palazzetto ”Uccio Camagna” di Tortona, ed ecco le sue parole ai nostri microfoni!

Luca Garri

Luca Garri: abbiamo intervistato l’argento di Atene 2004 nel palazzetto ”Uccio Camagna” di Tortona

UN’INTERVISTA MADE IN TORTONA: LUCA GARRI INTERVIENE AI MICROFONI DI AZZURRI DI GLORIA

Il classico gigante buono, che ha dalla sua un palmares di tutto rispetto, e l’unico rammarico di non essere mai riuscito a vincere uno scudetto: Luca Garri, cestista classe ’82, può infatti fregiarsi del titolo di vicecampione olimpico (arrivò secondo ad Atene 2004) e dell’oro ai Giochi del Mediterraneo 2005, nonchè di una carriera decisamente positiva, che l’ha portato a vestire le maglie della Virtus Roma, della Virtus Bologna, di Varese e di Biella, società con la quale ha vissuto le sue migliori stagioni. Attualmente Garri, centro che sfiora i 2.10m di altezza ed è nato nel 1982, milita nella fila del Derthona Basket, società che ha compiuto un’autentica scalata nel basket nazionale ed è ora seconda nel girone Ovest dell’A2 (alle spalle di Biella), con la qualificazione ai playoff in tasca e una serie positiva tuttora in corso: mercoledì siamo andati ad intervistare Luca Garri al palazzetto dello sport ”Uccio Camagna” di Tortona (che prima dell’A2 ospitava le gare casalinghe del club, ora al PalaOltrepò di Voghera, ed è ancora la sede della società che anche chiamata Orsi Tortona), per parlare sia della sua esperienza olimpica, che della fantastica squadra argento ad Atene 2004 coi vari Pozzecco, Basile e Galanda, che della sua carriera e dell’esperienza tortonese. Ecco dunque le parole di Luca Garri ai nostri microfoni, ma prima una breve galleria fotografica riguardo all’Uccio Camagna.

UN FANTASTICO ARGENTO E TANTI ANEDDOTI: ATENE 2004 RACCONTATA DA LUCA GARRI

Ciao Luca, partiamo dai Giochi di Atene 2004: che ricordi hai di quell’Olimpiade, vuoi raccontarci qualche aneddoto riguardo al Villaggio Olimpico o alla cerimonia d’apertura? Tra l’altro, eri il più giovane dei 12 convocati di quell’Italbasket (qui trovate la nostra inchiesta sul futuro di quella squadra fantastica)…

”Nettamente il più giovane. È stata un’esperienza incredibile, un’estate molto lunga e intensa: mi ricordo 74 giorni di nazionale, dai pre-raduni al torneo per le medaglie, però è stata un’esperienza unica, perchè l’Olimpiade è il massimo per uno sportivo, anche più di un Mondiale. Mi ricordo tutti quegli atleti che fin lì avevo visto in televisione, ad esempio Ian Thorpe e Michael Phelps, e vederseli passare davanti rappresentava la realizzazione di un sogno: ricordo d’aver visto anche Edgar Davids, il calciatore, e il primo ministro britannico Tony Blair, insomma, c’era di tutto di più, considerando che era venuto anche Schumacher. È difficile descrivere a parole quelle emozioni, bisogna veramente provarle per capire cosa vuol dire partecipare ad un’Olimpiade”.

Nella preparazione a quell’Olimpiade avete battuto sonoramente gli Stati Uniti, facendo una grandissima partita: dopo quella gara, avete fatto un pensierino all’idea-medaglia?

”Era troppo presto, anche perchè sapevamo di avere di fronte a noi nazionali nettamente più forti, com’erano Spagna, Lituania, Argentina e Stati Uniti appunto: eravamo già contenti di essere arrivati all’Olimpiade, e non abbiamo pensato alla possibilità di vincere una medaglia sinchè non ce l’abbiamo avuta a portata di mano. Giocavamo con la mente sgombra, senza la minima pressione dopo aver superato il girone, e nessuno pensava di poter ottenere un traguardo del genere: mi ricordo una frase di Charlie Recalcati dopo la finale persa, lui ci disse ”non avete perso l’oro, ma avete vinto l’argento”. Quella frase me la porterò dietro per tutta la vita”.

Ci racconti un po’ la semifinale contro la Lituania, che ha rappresentato la vostra gara perfetta (31 punti di Basile e 100-91 per gli azzurri, ndr), e quella finale contro l’Argentina? Cos’avete provato durante quelle gare, considerando che avevate anche battuto l’Argentina nel girone?

”Vero, avevamo vinto contro di loro nel girone. Ricordo che in semifinale, gara nella quale avrò giocato 20 secondi durante tutta la partita (ride, ndr), Basile aveva tirato due-tre bombe senza neanche guardare il ferro, uscendo dai blocchi e tirando in quel modo senza neanche guardare, una roba pazzesca (il cosiddetto ”tiro ignorante”). Diciamo che noi la Lituania la conoscevamo molto bene, ma erano loro gli assoluti favoriti del match perchè avevamo una nazionale pazzesca, forse una delle più forti negli ultimi 20 anni: l’Italia però aveva quel qualcosina in più durante il match, forse quel pizzico d’umiltà che ci ha consentito di ottenere quella vittoria insperata all’inizio. Per quel che riguarda la finale, si giocava il giorno dopo le semifinali, e l’Argentina aveva avuto la fortuna di giocare la prima semifinale: noi avevamo giocato due ore dopo e, con un lasso di tempo di 24 ore tra una gara e l’altra, anche quelle due ore si sentono parecchio. Tra l’altro, avendo vinto la semifinale in quel modo, credo che nessuno di noi abbia dormito quella notte, e quindi il tempo per recuperare è stato davvero minimo: siamo arrivati parecchio stanchi, e infatti ricordo che nel primo tempo siamo rimasti in partita, ma nel secondo siamo letteralmente usciti dal match”.

L’Argentina aveva la sua generazione d’oro coi vari Ginobili, Scola, Nocioni, Delfino ecc, ma anche l’Italia aveva la sua: Marconato, Pozzecco, Basile, Galanda & co. Com’è stato giocare  e allenarsi in quel gruppo, guidato tra l’altro da un Charlie Recalcati che è da poco tornato sulla panchina di Cantù?

”Quel gruppo secondo me aveva una grande qualità, non c’erano primedonne e tutti potevano essere protagonisti, ma soprattutto c’erano un grande spirito di sacrificio e una grande propensione al collettivo: in ogni partita, quando si fa parte di un gruppo, qualcuno deve sacrificarsi, e in quella squadra erano tutti disposti a farlo. Una volta lo faceva Soragna, la partita dopo Basile, quella dopo ancora Galanda, e quello voleva dire bilanciare: perchè se hai tanti giocatori che sono disposti a sacrificarsi per la squadra, allora puoi fare davvero il salto di qualità. Tutti eravamo a disposizione del collettivo, e infatti in ogni gara c’era un protagonista diverso: questo secondo me era il grande segreto di quella squadra, un segreto simile, anche se non sono un grande esperto di calcio, a quello dell’Italia 2006. Se abbiamo anche noi un gruppo Whatsapp come i 23 di Berlino? No no (ride, ndr), sono passati troppi anni!”.

Hai avuto l’onore e l’onore di condividere lo spogliatoio con Gianmarco Pozzecco, uno dei più grandi talenti del nostro basket, ma anche il classico atleta genio e sregolatezza che è conosciuto per le sue follie: ci racconti qualche aneddoto su di lui?

”Lui era uno che ti faceva ridere parecchio, perchè era un po’ anticonformista e ti facevi delle grasse risate: però devo dire che, a discapito di quello che può trasparire da fuori, Pozzecco faceva tanto spogliatoio, era il classico che faceva la voce grossa ma poi, se fai ”la faccia brutta”, scappa (ride, ndr)! Tornando seri, giocare con un playmaker così per un lungo è l’ideale: sai già che farai 10 punti semplicemente guardandolo, perchè sapeva passare il pallone in ogni modo e in ogni situazione. Purtroppo quella tipologia di giocatori sta un po’ sparendo, forse l’ultimo è Luca Vitali, ma avere in squadra uno come Pozzecco è fantastico”.

Vi sareste mai immaginati un Pozzecco allenatore?

”No, onestamente no (ride, ndr)!”.

Restando ai reduci da Atene 2004, hai affrontato uno di quei 12 giocatori nel campionato di A2: Righetti gioca nell’Eurobasket Roma…

”Sì, ci siamo sfidati quest’anno: anche lui gioca ancora, nel più classico dei ”40 anni e non sentirli”. Vedo tutto questo come la dimostrazione che quella generazione aveva davvero qualcosa in più: purtroppo, secondo me, quelle qualità si stanno perdendo con gli anni, perchè è cambiato il modo di vedere e giocare la pallacanestro, però nonostante cominciamo ad essere dei ”vecchietti” riusciamo sempre a dir la nostra. Qualche qualità ce l’avevamo, e ce l’abbiamo ancora”.

LE DIFFICOLTÀ DELLA NUOVA ITALBASKET E I PROBLEMI ”EUROPEI” DI MILANO: L’ANALISI DI LUCA GARRI

Facciamo un salto avanti nel tempo, e parliamo di Rio 2016: perchè l’Italbasket attuale fatica ad essere incisiva nei tornei decisivi?

”La mia opinione, e la dico senza voler fare polemica, anche perchè ci sono giocatori che hanno avuto carriera molto più grandi della mia e giocato in NBA, è che manchi quello spirito di sacrificio che citavamo prima: è difficile essere umili quando giochi in NBA e arrivi a guadagnare certe cifre, però per vincere e ottenere grandi risultati serve quella voglia di sacrificarsi che era presente nell’Italia del 2004. Altrimenti, senza quella, difficilmente riesce ad ottenere grandi risultati: vi faccio l’esempio della Spagna, che domina a livello internazionale da anni, ed ha giocatori dalla grande qualità, ma anche disposti al sacrificio. Mi vengono in mente Calderon e Navarro, o Rudy Fernandez, che è uno che può fare 30 punti, ma anche sacrificarsi in difesa quando giocano i fratelli Gasol: Fernandez ha giocato, tra l’altro, le ultime Olimpiadi con la schiena distrutta senza fare una piega, eppure si è sacrificato. Questo è il segreto per vincere ad alto livello, e forse la nostra nazionale ha perso questa caratteristica: abbiamo caratteristiche ottime e grandi doti, ma senza l’umiltà che ti fa mettere al servizio del collettivo tutto questo svanisce”.

Tra l’altro c’è anche la sensazione che manchi uno dei ruoli chiave nella nostra rosa: quello del playmaker ”alla Pozzecco”, dato che anche nei club si vedono spesso giocatori adattati in quel ruolo…

”Io invece ho un’altra idea: più del playmaker, ruolo nel quale riusciamo ad arrangiarci con uno tra Cinciarini e Hackett, o in extrema ratio Gentile, secondo me il ruolo-chiave che è stato determinante per le vittorie della nazionale da Parigi ’99 in avanti è stato quello del centro: non abbiamo più un centro di ruolo, prestanza e personalità, un uomo che sappia giocare spalle a canestro e fare a sportellate con la difesa avversaria. Adesso c’è Riccardo Cervi che potrebbe occupare quella posizione e rinverdire la tradizione azzurra, ma spesso peccavamo in quella posizione: il centro è un ruolo fondamentale e un punto di riferimento, per farvi un esempio la Spagna ha e ha avuto Gasol, che nell’ultima Olimpiade faceva 40 punti a partita in quella posizione, mentre noi fatichiamo a praticare quel tipo di gioco con un centro di ruolo. La situazione di Gentile? Dipenderà tutto da lui: ha vissuto una stagione tribolata, starà a lui tornare il giocatore che è e non farsi influenzare da questa situazione. Ha la faccia tosta per farlo, la cosiddetta cazzimma”.

Restando al basket italiano, come mai facciamo così tanta fatica nelle competizioni internazionali dei club: penso ad esempio alla tragica Eurolega dell’EA7 Milano…

”Manca la mentalità internazionale, drammaticamente. Partiamo da un assunto generale: non ci sono più soldi, una volta c’erano i vari Seragnoli/Madrigali a Bologna, c’erano Benetton a Treviso, Scavolini a Pesaro o Toti a Roma, una piazza che ora è stata altamente ridimensionata. Insomma, c’erano tanti imprenditori che investivano sia nella prima squadra che nei settori giovanili: per dirti, io vengo da una squadra giovanile, quella di Livorno, che ai tempi aveva 13-15 ragazzi in foresteria ed era un’autentica scuola di pallacanestro che t’insegnava i fondamentali, che non si possono insegnare a 23-24 anni, ma vanno mentalizzati già a 15-16. Ora mancano i settori giovanili di quel tipo, perchè non ci sono più soldi e la gente non investe più: la foresteria di Livorno, per farvi un esempio pratico, costava 250-300 milioni di lire a fine anno, ora chi potrebbe permettersi un settore giovanile da 200-250mila euro l’anno? Nessuno, forse solo Milano, e quindi di conseguenza questi ragazzi, quando arrivano a giocarsi le proprie carte, vanno in difficoltà perchè gli mancano dei fondamentali: in primo luogo considero tutte queste cose tra le cause del declino internazionale del nostro basket, e in secondo luogo c’è una mentalità tutta italiana che spinge a dare la precedenza verso il giocatore straniero rispetto all’italiano. Vengono date varie motivazioni, dai costi a tante altre cose, ma non credo che questo sia vero: i giocatori italiani su cui puntare ci sono, ma devi dargli un attimo di tempo. È ovvio che in partenza il giocatore americano sarà avvantaggiato, perchè ha la possibilità di crescere in delle scuole di pallacanestro migliori, con strutture d’eccellenza ecc: mancano le basi in Italia, e mancano i settori giovanili. Se non c’è la base della piramide, tutto il resto crolla”.

Tra l’altro, rafforzo il tuo ragionamento dicendo che gli americani fanno anche la cosiddetta Summer League confrontandosi coi giocatori NBA…

”Hanno la Summer League che è un fantastico banco di prova e può essere paragonabile alle nostre finali nazionali, e tra l’altro sono avvantaggiati anche a livello di muscolatura: hanno una muscolatura totalmente diversa dalla nostra e muscoli sviluppati meglio, fatti per garantire quell’esplosività che è tipica dei giocatori USA, e li avvantaggia. Tornando al discorso sulla Summer League, io ricordo che ai miei tempi, le finali nazionali (delle giovanili, ndr) erano paragonabili a una Serie B di buon livello di oggi, c’era un ottimo livello: all’epoca c’erano tanti giocatori militanti in Serie A o in grandi club, ora vai alle finali nazionali e trovi massimo uno-due giocatori di livello. Anche questo è indicativo della noncuranza verso i settori giovanili: detto questo, i modelli da seguire sull’utilizzo degli italiani sono Reggio Emilia e un pochettino Trento, per il resto bisognerebbe dare una svolta. Servirebbe un cambio regolamentare fatto per favorire gli italiani, anche a costo di sacrificare il campionato per 3-4 anni, costruendo così le basi per una nuova generazione d’oro e trovando giocatori pronti per il futuro: sarà difficile fare questo step, anche perchè siamo ancora qui a parlare della possibilità di mettere 6 o 7 americani, ai quali si affiancano i passaportati, e i passaporti sono facili da ottenere. Servirebbe una riduzione a tre americani per far tornare il basket italiano ad alto livello, è questa la mia idea: io sono sicuro che, con queste misure, potremmo tornare all’era d’oro della bolognesi, della Benetton e di Siena, l’ultima squadra italiana ad andare in Final Four di Eurolega”.

LA SUA CARRIERA E L’OTTIMA ESPERIENZA COL DERTHONA BASKET: LUCA GARRI SI RACCONTA

Venendo alla tua carriera, possiamo dire che la tua miglior stagione sia stata l’annata 2005-06 con Biella? 10.9 punti di media e 6.2 rimbalzi a gara…

”Sì, in A1 senza dubbio, poi quello è stato un anno particolare, nel quale abbiamo fatto dei grandi risultati, arrivando in semifinale dei playoff e battendo anche Roma. Rammarico per non aver mai vinto uno scudetto in carriera? Vincere lo scudetto fa piacere, ma guardandomi indietro posso solo essere soddisfatto di quello che ho fatto in tutta la mia carriera: ho anche vinto un argento olimpico e un oro ai Giochi del Mediterraneo, che nel complesso valgono più di uno scudetto, anche se c’è un pizzico di rammarico per l’esperienza di Roma. Lì si poteva costruire qualcosa d’interessante, ma ci siamo trovati di fronte la corazzata-Siena”.

Siena che tra l’altro hai affrontato in campionato (la nuova Siena, rinata dopo il fallimento dell’MPS) insieme alla ”tua” Biella, che sta vincendo la regular season del girone Ovest: è stato strano affrontare una squadra che ha avuto una parte così importante nella tua carriera?

”Ormai sono abituato a giocare contro Biella, l’affronto da 10 anni e sta diventando la normalità (ride). Certo, devo dire che spiace vedere piazze come Siena e Biella in A2 (e con loro Bologna e Treviso, militanti nel Girone Est), dopo che per anni sono state al centro della pallacanestro, però tutto questo è specchio del momento economico del nostro Paese: la crisi purtroppo si ripercuote anche nello sport e porta a questi declini”.

Veniamo alla tua esperienza nelle fila del Derthona Basket: sei qui dal 2015, perchè hai scelto proprio questa piazza e questa società, che tra l’altro ha compiuto una grande scalata (nel 2008-09 era in C1, ndr)?

”Ho scelto Tortona per vari motivi: innanzitutto erano anni che sentivo parlare bene di questa realtà e di questa società, ero a Barcellona Pozzo di Gotto e già a inizio 2015 sono stato contattato dal Derthona, quando sembrava che la mia società del tempo stesse per fallire. Abbiamo mantenuto i contatti e il mio arrivo qui si è concretizzato nell’estate seguente: io abito a Biella ed ho i genitori ad Asti, quindi Tortona è ottima anche dal punto di vista logistico dopo tanti anni in giro per l’Italia. Tra l’altro tutti mi hanno sempre parlato bene di questa società, che mi ha voluto fortemente e mi ha convinto a sposare il suo progetto: l’anno scorso abbiamo vissuto un anno fantastico, quest’anno stiamo andando ancora meglio e quindi posso definire questa una scelta azzeccata. Qui ho trovato una grande famiglia, una realtà perfetta che mi ricorda un po’ la Biella delle origini, o la prima Trento, che era molto simile a Tortona come realtà: sono stato lì sono un anno, ma ho potuto apprezzare la serietà di quella piazza, che in seguito ha posto le basi per diventare una delle migliori realtà del nostro basket. Io credo che Tortona abbia le potenzialità per ripetere quel percorso, magari con qualche anno in più rispetto a Trento, ma le qualità per puntare in alto ci sono: le prestazioni di questi anni sono state l’inizio, l’ampliamento del PalaOltrepò il secondo passo, e ora vogliamo continuare in questa crescita”.

Ci racconti qualcosa della squadra? Com’è l’allenatore Demis Cavina, allenatore del mese sia a gennaio che a marzo, e se c’è qualche giocatore che ti ha impressionato e pensi possa giocare da protagonista in Serie A?

”Cavina è un grande allenatore, molto esigente, ma è giusto, perchè quando si hanno squadre molto giovani è giusto mettere delle linee guida ben definite. Altrimenti, il rischio è che ognuno decida di fare come gli pare: Demis è una persone che si dedica 24h su 24 alla pallacanestro, è uno che prepara le partite in modo maniacale, e può anche non dormire per prepararti al meglio una gara o studiare le debolezze degli avversari. Ci mette veramente il cuore in quello che fa, ed è l’uomo giusto per questa società. Per quel che riguarda i compagni, sono rimasto stupito dai giovani, perchè molti di loro sono provenienti dalla Serie B, e comunque anche un giocatore come Alviti, che arriva dall’A2 e da Mantova, nella scorsa stagione non aveva avuto grande spazio: c’è stata qualche difficoltà iniziale, ma poi tutti si sono ambientati molto bene e siamo cresciuti in maniera esponenziale. E anche i due americani, soprattutto Glen Cosey, il nostro playmaker, ma anche Phil Greene, possono starci tranquillamente in Serie A: fate conto che, quando abbiamo giocato in amichevole contro Reggio Emilia, Phil ha fatto 30 punti giocando con grande scioltezza. I nostri americani sono due bravissimi ragazzi, due pezzi di pane che sono il grande valore aggiunto di questo gruppo”.

Siete secondi in campionato, a -4 da Biella, e affronterete Rieti sabato. Il vostro score parla di 5 vittorie consecutive, 11 vittorie nelle ultime 12 gare e i playoff sono ormai certi: playoff che tra l’altro saranno una tonnara, dato che si affrontano le prime 8 di ogni girone in un tabellone incrociato. Sotto sotto, l’avete fatto un pensierino alla promozione, oppure quel discorso è prematuro?

”Ti correggo: sono 12 vittorie nelle ultime 13 (ride, ndr). Comunque calma calma, come abbiamo detto dall’inizio dell’anno noi dobbiamo pensare a una partita alla volta: fare progetti, pronostici o voli pindarici è il modo migliore per fallire i grandi traguardi. Noi siamo già matematicamente secondi, abbiamo tre settimane di tempo per arrivare ai playoff e due ulteriori match di campionato che possono anche servire al mister per fare qualche esperimento: al momento attuale prenderemmo una tra Verona e Mantova, che sono settime a pari punti, e quindi dobbiamo prepararci al meglio e affrontare partita dopo partita. Sappiamo che al primo turno avremo il fattore campo, sappiamo che a differenza dell’anno scorso, nel quale giocavamo a Casale, giocheremo di fronte al nostro pubblico che è molto caldo e ci spinge sempre a dare il 120%, com’è successo nelle ultime tre gare. Abbiamo una serie di valori aggiunti, e tra l’altro ci sarà un solo posto disponibile: Bologna è la favorita per distacco, Biella sta facendo benissimo e dunque può risultare una mina vagante, e lo stesso vale per Treviso. Quest’anno ci troviamo di fronte a dei playoff più livellati, l’anno scorso invece c’erano quelle 3-4 squadre nettamente più forti delle altre: questo equilibrio può aiutarci, ma sappiamo che non dobbiamo mai abbassare la guardia, perchè ogni serie nasconde delle insidie”.

Che intenzioni hai per il futuro? Resterai qui, dato che sei capitano del Derthona (in stagione, Garri ha uno score di 10.8 punti a gara, 6.5 rimbalzi e 25′ di media)?

”Io l’ho detto più di una volta ai tifosi e alla società: sarei molto felice di chiudere la mia carriera a Tortona, anche perchè mi trovo di fronte gli ultimi anni di carriera e vorrei restare qui. Mi trovo benissimo al Derthona, ho un rapporto splendido con la società, soprattutto con Gino (Luigino Fassino, ndr), a cui voglio un bene dell’anima: mi piacerebbe restare, mentre per quanto riguarda il dopo-pallacanestro, vorrei rimanere in un mondo che è stato la mia vita per 20 anni. Vorrei che diventasse la mia vita per almeno altri 20 anni! Gli altri reduci da Atene fanno carriere da highlander? Ti dico: io fisicamente sto ancora bene, quindi qualche annetto vorrei farlo (ride): poi progetterò il futuro post-carriera”.

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Marco Corradi
31 anni, un tesserino da pubblicista e una laurea specialistica in Lettere Moderne. Il calcio è la mia malattia, gli altri sport una passione che ho deciso di coltivare diventando uno degli Azzurri di Gloria. Collaboro con AlaNews e l'Interista

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